Wednesday, March 20, 2013

I pirati della Malesia

Kota Kinabalu (Malesia), 7 marzo 2013

Due cose noto arrivata in Malesia. La prima e’ che i pullman vengono fermati ogni poche ore e controllati passeggero per passeggero da poliziotti armati di mitra (o qualunque cosa siano); e questo e’ strano. Per essere qui, almeno. In Congo e’ normale che un qualunque ufficiale si tenga a spalle l’artiglieria pesante anche solo per stare fermo a un semaforo a controllare il traffico, ma qui non ho mai visto nulla del genere. Strano anche il fatto che qualcuno venga quasi sempre risparmiato dal controllo dei documenti e che quel qualcuno sia sempre io. O cercano una persona che non mi somiglia per niente o devo davvero iniziare a considerare l’idea di passare ad attivita’ piu’ redditizie, come il narcotraffico, perche’ non mi controllano davvero mai… va be’…
La seconda cosa che noto andando a fare immersione all’isola di Mabul e’ che una volta arrivate a destinazione, le barche, tutte le barche, issano una bandiera blu. E intanto motoscavi della polizia circolano minacciosamente attorno all’isola come pescicani… strano anche questo, ma non lo trovo sufficientemente allarmante da chiedere informazioni. Mi libero della sensazione che stia succedendo qualcosa dicendomi “Non pensavo che la Malesia fosse cosi’ militarizzata!” e continuo con spensieratezza la mia visita nel Sabah.


A detta di molti, il Sabah e’ la regione piu’ bella della Malesia. Sara’. Ma io continuo ad avere la sensazione di star mangiando qualcosa che non mi va di mangiare giusto per non sprecarlo, perche’ non e’ sufficientemente buono da gustarmelo ne’ sufficientemente cattivo da evitarlo… come le melanzane, appunto. Con questo non voglio dire che il Sabah sia un brutto posto, il problema e’ tutto mio, me ne rendo conto. Qui ce n’e’ per tutti i gusti: dalla foresta pluviale del Borneo (che se si va avanti cosi’ diventera’ il Palmeto del Borneo, vista la quantita’ di palme da olio che vengono piantate, ma questa e’ un’altra questione…) alle spiagge bianche, monti, isolette, oranghi e scimmie varie… ma io ho troppa voglia di tornare in Indonesia per apprezzare davvero il posto in cui sono ora. E dopo due settimane, pianifico un’altra fuga.
Sulawesi e’ un’isola indonesiana a due passi dal luogo in cui mi trovo (relativamente) ed e’ uno dei posti che vorrei visitare. Nulla di piu’ semplice: basta prendere una barca ed e’ fatta. Certo, io la faccio sempre facile! Ma piu’ cerco e ricevo informazioni, piu’ mi rendo conto che facile non e’ e mi si fa luce sui motivi di cotanta polizia e controlli.
Pare che Jamalul Kiram III, Sultano del Sulu, nel sud delle Filippine, abbia deciso di reclamare parte del territorio del Sabah, un tempo appartenente alle Filippine. Soldati filippini hanno iniziato a sbarcare clandestinamente sulle coste malesiane, alcuni sono stati scoperti all’arrivo, altri sono riusciti ad entrare nel Paese e confondersi tra la popolazione, tra l’altro composta da un alto numero di immigrati filippini a cui pare il governo non abbia mai facilitato particolarmente l’integrazione e che si teme possano ora decidere di non facilitare particolarmente il governo e collaborare con “gli invasori”. Pochi giorni fa ci sono stati i primi scontri armati. Nulla che abbia interessato i civili, ma il clima non e’ dei piu’ rilassati.
Prima mi sposto a nord, dove la situazione e’ tranquilla, poi decido di tornare a sud e prendere la nave prima che le cose si mettano male davvero… impacchetto il mio zaino, esco in strada e parto. Faccio duecento metri e torno indietro. I giornali parlano di altri scontri, strade verso sud chiuse al transito, barche ferme per l’alto rischio di attacchi in mare… ok, pare che le cose si siano gia’ messe male davvero. Spreco ore a cercare un’alternativa, un volo, ma non trovo nulla. Ecco, sono bloccata di nuovo! 


Ma dico io, buon Jamalul Kiram, Sua Maesta’, secoli di silenzio e proprio ora dovevi fare tutto sto casino?? Non potevi startene bravino per un paio di settimane ancora e lasciarmi passare? Che io non chiedo altro: passare. E invece no. Un’ora di barca e sarei gia’ salva oltre al confine indonesiano, salirei su una nave indonesiana e me ne andrei in Indonesia senza dar fastidio a nessuno, ma no, non si puo’ fare, quell’ora di barca e’ troppo pericolosa. Mannaggia. Un po’ mi spiace: mi ero fatta una bella idea di Sulawesi, ma in fondo l’Indonesia e’ composta da piu’ di diciassettemila isole, credo di poter trovare un’alternativa, insomma…
Dopo aver abbandonato definitivamente l’idea di raggiungere Sulawesi, vado a cena in uno dei tanti ristornti cinesi che costeggiano le strade di Kota Kinabalu, vicino al porto. Al tavolo di fianco al mio sono seduti quattro poliziotti in divisa. Li osservo per un po’ e improvvisamente mi sento addosso tutto il peso e il dipiacere che questa situazione comporta. Le notizie dicono che nei prossimi giorni si concentreranno ulteriormente le forze a sud della regione, come e’ ovvio che sia. Che peso diverso hanno gli stessi eventi su persone diverse: su di me che me ne vado in giro con la macchina fotografica al collo, su chi sta seduto in Italia e non ne sa nulla, su un sultano nel sud delle Filippine, su questi quattro ragazzi in divisa, su altri ragazzi a poche ore di barca da qui, sui filippini in Malesia che sicuramente avrebbero fatto a meno della diffidenza del resto della popolazione, sulla popolazione che sicuramente avrebbe fatto a meno della paura… che tristezza.

Il Sultano del Brunei


  
Bandar Seri Begawan (Brunei), 23 febbraio 2013

Arrivo in Brunei con un unico obiettivo: andarmene. Correre e lanciarmi oltre la frontiera malesiana come un battitore di baseball sull’ultima base, prima che i miei risparmi risentano eccessivamente degli ultimi errori strategici.
Ci provo. Arrivata in centro citta’ vedo un pullman per una certa Miri. “Dov’e’ Miri?” chiedo all’autista “In Malesia” mi dice, “E’ sulla stessa strada per Kota Kinabalu?” “Si’!” salgo. Dopo alcuni chilometri, prendo un depliant dalla tasca del sedile di fronte a me e lo apro. Toh, guarda: una cartina! Qui c’e’ Kota Kinabalu e Miri rimane esattamente… oh no, no! “Fermate il pullman!!” Scendo.
Me lo sentivo che non sarebbe stato cosi’ facile. Non e’ che stessi andando nella direzione sbagliata in realta’: se avessi continuato su quella rotta per un pezzetto, ad un certo punto sarei arrivata a Kota Kinabalu, passando per l’Africa Centrale, il Sud America, le isole del Pacifico e poi la Malesia di nuovo. Ma credo che il mio primo tentativo di fuga debba comunque considerarsi fallimentare.


Torno in centro a testa bassa, trovo una stanza senza le maniglie d’oro e studio un secondo piano di fuga per domani all’alba.
L’indomani, poco dopo il richiamo dell’Iman alla prima preghiera del mattino, sono in reception con lo zaino in spalla a consegnare la chiave della stanza per andarmene.
“Oggi e’ la nostra Festa Nazionale!” mi dice sorridendo la ragazza seduta dietro al bancone. Ripenso al fatto che l’ufficio informazioni turistiche ieri era chiuso perche’ era un venerdi’, sarebbe stato chiuso il giorno seguente per via della Festa Nazionale e quello successivo ancora in quanto domenica; ripenso alle quattro ore passate ad aspettare un autobus per il centro citta’, la cui circolazione e’ limitata per via della Festa Nazionale; ripenso al fatto che non ho trovato posto nella guest house piu’ economica: tutto riservato per la Festa Nazionale; ripenso alla moschea di cui non ho potuto visitare l’interno perche’ stavano sbrigando i preparativi per la Festa Nazionale… guardo la ragagazza dietro al bancone “Si. Lo so.” le dico solo. “Non vai alla parata? Oggi puoi vedere Sua Maesta’!” …aspetta un attimo… l’hai detto sul serio?! Ho sentito bene? Hai usato le parole Sua Maesta’?? Lo chiamate davvero SUA MAESTA’??
Io credo che se nel 2013 la vita ti da’ la possibilita’ di vedere uno che viene chiamato Sua Maesta’, allora e’ peccato mortale lasciarsi scappare l’occasione! Il mio piano di fuga puo’ attendere qualche ora. Il Sultano del Brunei no. Poso lo zaino e corro in strada.

Tutte le strade del centro, dove ieri sfilavano silenziosi macchinoni lucidi, oggi sono chiuse al traffico e le corsie sono invase da una folla in festa che sventola bandierine gialle. Sono tutti elegati e si spostano di qua e di la’ corricchiando, si ha la sensazione che stia per succedere qualcosa ad ogni angolo. Macchine fotografiche, bandiere, uniformi… c’e’ una bella atmosfera, me la godo proprio. Vengo anche intervistata da una televisione locale.
Dopo qualche ora il corteo prende forma e parte: un interminabile serpente di gente si snoda lungo la strada e inizia a sfilare tra la musica della banda, gli applausi della gente e gli scatti dei fotografi. C’e’ una rappresentanza di tutti i corpi delle forze armate, degli studenti, dei lavoratori, di gruppi che non ho idea di come classificare, ma ci sono; il risultato e’ che sono piu’ le persone in divisa o uniforme che quelle a guardarle sfilare. Non riesco a smettere di immaginare il Sultano che cammina nervosamente dietro a delle tende color porpora, qualcuno gli si avvicina con riverenza e gli dice: “Sua Maesta’, e’ ora, il popolo Vi attende!” e rido, rido perche’ probabilmente e’ successo davvero!

 

La processione termina all’interno di una sorta di stadio dove la gente importante e’ seduta sulle scalinate; il popolo saluta Sua Maesta’, Sua Maesta’ saluta il popolo.
E ci sono anch’io! Divertita e felice per le prime ore, poi stanca e accaldata, alla fine anche un po’ stufa. Il sole e’ ormai alto e spietato, sono in giro dall’alba e non dimentichiamo che devo scappare oltre frontiera… meglio andare.
Caro Brunei, e’ stato un piacere, davvero, ma finisce qui!