Otres Beach (Cambodia), 9 giugno 2012
Il giorno prima della partenza, ho fatto lo zaino con lo spirito di
chi si prepara ad ogni evenienza: coltellino svizzero, sacco a pelo,
frontale, scarpe in goretex adatte per camminate, escursioni, corsa,
trotto e galoppo. Avevo addirittura pensato di portami dietro una
bussola e una metallina, hai visto mai che mi perda sull’Himalaya e
debba combattere l’ipotermia… gia’. L’ipotermia. Ci sono 35 gradi
all’ombra, ma, per carita’, meglio essere previdenti. Superati i due
mesi, ho preso il mio zaino da Mc Giver, l’ho vuotato del tutto e l’ho
rifatto dal principio seguendo rigorosamente una sola semplicissima
regola: se e’ nuovo, e’ superfluo. Nel senso: tutto cio’ che non ho
usato fin ora non mi serve e perde il diritto di tornare nello zaino. Ma
proprio tutto? Tuttissimo. Anche se potrebbe servirmi? Anche se
potrebbe salvarti la vita. Anche il dizionario tascabile
italianoingleseingleseitaliano di mia madre? …se lo scopre mi ammazza.
Se si ha dello spazio in esubero nello zaino, se dopo aver corso in
spiaggia al mattino ci si puo’ sdraiare su un’amaca a riprendere fiato
guardando il mare, se la contabilita’ del mese ha confermato che si sta
spendendo meno di quanto ci si potrebbe permettere… qual e’ la prima
cosa che si corre a fare? Esatto: comprare un ukulele!! Lo volevo da
giorni e ora che ce l’ho, mi consumo i polpastrelli tra Don’t worry be
happy e Somewhere over the rainbow… ipotermia… ma per favore! E’
tempo per me di seguire le orme di Israel Kamakawiwo’ole, il quale
dubito fortemente abbia mai messo piede sull’Himalaya. O forse si’.
Chissa’.
Siamo ora sulle spiagge a sud della Cambogia. Se poco fa la stagione
delle piogge iniziava a bussare timidamente alle porte, ora varca la
soglia almeno una volta al giorno. L’atmosfera e’ strana: il cielo
grigio e la spiaggia deserta a tratti emanano la stessa malinconia del
mare in inverno, ma la temperatura (e l’ukulele!) riporta la mente a
realta’ splendidamente tropicali, mentre si continua giocare con le
onde, sotto la pioggia. Non avevo mai nuotato in mare con la pioggia,
e’ meraviglioso! E’ un incontro di sensazioni contrastanti: dolce e
salato, autunno ed estate, felicita’ e malinconia…
Dunque, Cambogia. Prima di scappare a gambe levate a sud, abbiamo passato qualche giorno nella capitale.
Dunque, Cambogia. Prima di scappare a gambe levate a sud, abbiamo passato qualche giorno nella capitale.
Phnom Penh e’ una citta’ difficile. Anche per chi e’ abituato a
Ouagadougou. Camminando per strada, la sensazione dominante e’ quella di
dovermi togliere di li’, di dovermi rifugiare al piu’ presto in un
luogo chiuso. Non e’ la quantita’ di traffico il problema, ma la
qualita’: il disordine, l’irregolarita’ del flusso data dalle diverse
velocita’ dei diversi mezzi di trasporto, auto, scooter, tuk tuk,
bicitaxi che nelle ore di punta si lanciano negli incroci, si fermano o
fanno inversione con lo stesso ordine di un sacchetto di biglie
rovesciato sul pavimento. Anche il casino piu’ totale puo’ essere
affascinante, ma non e’ questo il caso, non per me.
I primi giorni in Cambogia sono stati emotivamente importanti; al
desiderio di fuga dall’ambiente urbano si univa un senso di pesantezza e
vergogna: mi ero preparata a questo pezzo di viaggio leggendo First
they killed my father, un libro autobiografico che racconta la storia di
una famiglia e quella dell’intero Paese durante il regime dei Khmer
Rouge. Non e’ esattamente una lettura leggera, adatta al prima del
sonno: mi sono svegliata diverse mattine in preda all’angoscia,
sentendomi alle volte vittima, alle volte colpevole di ogni genocidio
della storia dell’umanita’. 1975, e’ giusto dietro l’angolo. Quanti anni
hanno le persone nate nel ’75? 37! Non sono niente! Tutti i cambogiani
che hanno piu’ di 37 anni hanno vissuto l’indicibile in prima persona
dal principio. E lo si vede. E’ una storia cosi’ recente da poter essere
ancora letta sui corpi delle persone: nei numerosi mutilati, nelle
cicatrici, negli sfregi sui tanti volti… ora non voglio fare il ritratto
di un Paese di invalidi di guerra, non e’ cosi’, ma bisogna non voler
vedere per non notarlo. Di fronte a questo (e non solo), provo intensa
vergogna di appartenere ad una specie capace di infima crudelta’. E la
chiudo qui.
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