Maumere (Indonesia), 18 gennaio 2013
Quasi un mese e’ volato senza che me ne rendessi conto e l’Indonesia merita indubbiamente di perderci un secolo in piu’,
come direbbe De Andre’. Un secolo certo vien difficile, ma di un
mesetto extra ne possiamo parlare: passaporto alla mano, vado a Maumere
ad estendere il visto. A Maumere. Non Labuanbajo: Maumere. Anzi, fatemi
fare un’opera di bene con qualche parola chiave:
VISA EXTENSION IMMIGRATION OFFICE FLORES ISLAND INDONESIA: ONLY IN MAUMERE!!
Che se qualcuno finisce qui con google magari lo salvo. Ma questa e’ un’altra storia…
Entro all’ufficio immigrazione di Maumere, appunto, per avere informazioni sulla documentazione necessaria. Trovo dietro al bancone un ufficiale in divisa. O meglio, non ci trovo nessuno, ma dopo che chiamo e aspetto e aspetto e chiamo, arriva dietro al bancone un ufficiale con una bella divisa costellata di distintivi e appiccichini vari, che non parla inglese. Ma tutti gli stranieri grossomodo arrivan qui con la stessa richiesta e questo facilita le cose… fino a un certo punto, oltre al quale le barriere linguistiche lo spingono a chiamare in aiuto un collega; questo riparte con la spiegazione dal principio, ma arrivati circa allo stesso punto di prima, ci areniamo di nuovo e viene chiamato in soccorso un terzo collega, una donna, che con mio grande sollievo parla inglese; sorbirmi tutta la spiegazione da principio per la terza volta e’ un piccolo prezzo da pagare per veder risolti i mei dubbi e non la interrompo.
Arriviamo dunque alle questioni spinose “Capito, le fotocopie, la lettera dello sponsor, il passaporto… e quanto costa?” “Trecentomila rupie” Trecento?? Ahi ahi ahi, bugia! Pur essendo una sprovveduta, vista la fama degli uffici indonesiani, prima di venire qui mi sono confrontata con diverse persone sul prezzo. E a detta di tutti il prezzo dovrebbe essere duecentocinquantamila. Non e’ un caso che tutti usino il condizionale. Cinquantamila rupie sono circa quattro euro, non e’ chiaramente questo il problema. Certo se mi lasciassi fregare ogni volta, a foza di “e’ solo un euro, sono solo due euro”, a quest’ora i miei risparmi li avrei finiti da un pezzo, ma, davvero, non e’ questo il punto. Il punto e’ che di fianco alla porta da cui questa signora entra ogni mattina, troneggia un cartello su cui c’e’ scritto a caratteri cubitali “Fermiamo la corruzione!!”. Il punto e’ che almeno in questo l’Indonesia non e’ come il Congo, dove gli impiegati pubblici non vedono lo stipendio per mesi e allora il dito va puntato piu’ in alto. Il punto e’ che va contro i miei pricipi dare il mio seppur minimo contributo a questo sistema e pur sapendo che non saro’ certo io a fare la differenza, mi pesa dover giustificare un sopruso con il tipico qui funziona cosi’.
Entro all’ufficio immigrazione di Maumere, appunto, per avere informazioni sulla documentazione necessaria. Trovo dietro al bancone un ufficiale in divisa. O meglio, non ci trovo nessuno, ma dopo che chiamo e aspetto e aspetto e chiamo, arriva dietro al bancone un ufficiale con una bella divisa costellata di distintivi e appiccichini vari, che non parla inglese. Ma tutti gli stranieri grossomodo arrivan qui con la stessa richiesta e questo facilita le cose… fino a un certo punto, oltre al quale le barriere linguistiche lo spingono a chiamare in aiuto un collega; questo riparte con la spiegazione dal principio, ma arrivati circa allo stesso punto di prima, ci areniamo di nuovo e viene chiamato in soccorso un terzo collega, una donna, che con mio grande sollievo parla inglese; sorbirmi tutta la spiegazione da principio per la terza volta e’ un piccolo prezzo da pagare per veder risolti i mei dubbi e non la interrompo.
Arriviamo dunque alle questioni spinose “Capito, le fotocopie, la lettera dello sponsor, il passaporto… e quanto costa?” “Trecentomila rupie” Trecento?? Ahi ahi ahi, bugia! Pur essendo una sprovveduta, vista la fama degli uffici indonesiani, prima di venire qui mi sono confrontata con diverse persone sul prezzo. E a detta di tutti il prezzo dovrebbe essere duecentocinquantamila. Non e’ un caso che tutti usino il condizionale. Cinquantamila rupie sono circa quattro euro, non e’ chiaramente questo il problema. Certo se mi lasciassi fregare ogni volta, a foza di “e’ solo un euro, sono solo due euro”, a quest’ora i miei risparmi li avrei finiti da un pezzo, ma, davvero, non e’ questo il punto. Il punto e’ che di fianco alla porta da cui questa signora entra ogni mattina, troneggia un cartello su cui c’e’ scritto a caratteri cubitali “Fermiamo la corruzione!!”. Il punto e’ che almeno in questo l’Indonesia non e’ come il Congo, dove gli impiegati pubblici non vedono lo stipendio per mesi e allora il dito va puntato piu’ in alto. Il punto e’ che va contro i miei pricipi dare il mio seppur minimo contributo a questo sistema e pur sapendo che non saro’ certo io a fare la differenza, mi pesa dover giustificare un sopruso con il tipico qui funziona cosi’.
[Che poi anche i miei principi siano discutibilissimi non e’ da
mettere in dubbio, ad esempio continuo a sostenere la mia battaglia
concettuale contro la tassa sul passaporto; ma anche questa e’ un’altra
storia...]
Provo a darle la possibilita’ di correggersi “Non ho capito. Duecento
e quanto?” “Trecento!” e allora voglio almeno che lei sappia che so
cosa sta facendo “Non dovrebbero essere duecentocinquanta?” “No,
trecento” “Strano, mi sono informata nei giorni scorsi e mi e’ stato
detto che il prezzo e’ duecentocinquanta” “Be’, ecco, il visto sono
duecentocinquantacinque, piu’ quarantacinque per i moduli” capita di
dover pagare i moduli a parte, e’ vero, ma non costa mai piu’ di pochi
centesimi “Quarantacinque solo per i moduli?? Eppure mi e’ stato detto
duecentocinquanta in totale da diverse persone” “Magari ha capito male”
“Magari si’. Infatti sono venuta qui apposta per vedere un documento
ufficiale su cui si dica quanto devo pagare” “Mi spiace, non l’abbiamo
qui” “All’Ufficio Immigrazione non avete un documento riguardo al
visto??” “No, il documento c’e’, ma non lo puoi vedere perche’ abbiamo
problemi con il sistema, deve venire un mio amico a riparare i
computer…” un tuo amico. Ok, siamo caduti abbastanza in basso, non
andiamo oltre. La verita’ e’ che a me serve il visto e non posso
rischiare di avere problemi. Be’, poteri lasciare il Paese, ma non e’
quel che voglio. Odio questo senso di impotenza, odio che non si possa
far riferimento a qualcuno al di sopra delle parti perche’ tanto ognuno
tira acqua al proprio mulino, odio che mi si possa considerare molto
fortunata perche’ di fatto mi sono stati chiesti solo quattro euro in
piu’. Ma alla fine, checche’ se ne dica, qui funziona cosi’!
La donna insiste ancora a che faccia partire la pratica subito perche’ il sistema, il weekend, i moduli… non mi piace la sua insistenza e non vedo perche’ dovrei sprecare un giorno di visto, per cui saluto e me ne vado.
La donna insiste ancora a che faccia partire la pratica subito perche’ il sistema, il weekend, i moduli… non mi piace la sua insistenza e non vedo perche’ dovrei sprecare un giorno di visto, per cui saluto e me ne vado.
L’indomani arrivo in ufficio prima dell’orario d’apertura e aspetto.
La prima a comparire e’ una ragazza molto giovane in una tuta da
ginnastica blu con uno stemma dorato. Mi spiega di essere una
tirocinante e con modi estremamente gentili mi racconta tutto dal
principio per l’ennesima volta; poi prende tutti i miei fogli, prende il
passaporto, prende le trecentomila rupie… e me ne da cinquantamila di
resto. Sorrido cortesemente e ringrazio, impassibile… ma dentro… dentro
ho i fuochi d’artificio!! Dentro, vorrei prenderle la testa tra le mani e
baciarla in fronte e veder entrare sotto al cartello “Fermiamo la
corruzione!!” quella di ieri e buttarle in faccia le sue cinquantamila e
uscire in strada con la ragazza per mano, dove una folla esultante la
acclama e una fanfara suona un inno al trionofo e… “Allora lunedi’ o
martedi’, quando e’ pronto la chiamo. Arrivederci” hey, hey, aspetta un
attimo… e la fanfara si ferma… come sarebbe a dire arrivederci? “Credo
si sia dimenticata di darmi la mia ricevuta” “Oh, no, la ricevuta la
diamo quando viene a ritirare il passaporto” questa poi! “Io vi ho dato
dei soldi e il mio passaporto e dovrei andarmene senza nulla in mano?”
Non voglio nominare la donna di ieri, per cui mento, le dico di aver
gia’ avuto problemi in passato in altri Paesi, che lei e’ molto gentile
ma non so chi verra’ dopo di lei e non voglio rischiare che mi si dica
di pagare di nuovo o di non aver mai ricevuto il passaporto, per cui,
per cortesia, puo’ darmi un qualunque pezzo di carta in cui si dichiari
cosa ho consegnato? Dispiaciuta per le orribili cose che capitano in
altri Paesi, alla fine prende un foglio, scrive, firma, timbra e me lo
da.
E forse ce l’abbiamo fatta.
E forse ce l’abbiamo fatta.
No comments:
Post a Comment