Maumere (Indonesia), 31 gennaio 2013
Non dimentichiamo il vero motivo della mia visita a Flores: trovare
la mamma del mio amico Bobby. Bobby non vede la sua famiglia da
quattordici anni, quando si e’ trasferito nella capitale. Lui mi ha
semplicemente offerto ospitalita’ in casa della madre, dandomi un
biglietto con l’indirizzo e il nome del fratello, ma io l’ho presa come
una vera e propria missione: trovare la donna, portarle le foto del
figlio lontano e il messaggio che e’ felice e in buona salute. Nicole,
ci sono i telefoni per queste cose… va be’, e allora ammazziamo tutta la
poesia!!
Le cose si rivelano piu’ facili del previsto: arrivata nella via,
chiedo del fratello e mostro le foto del mio amico ad un gruppo di
ragazzini (chesso’, magari si assomigliano) “Ma e’ Robert!” Robert,
Roby, Bobby… sara’ lui! Si distacca un sottogruppo di tre o quattro
bambini che iniziano a camminare lungo la strada stretta facendomi cenno
di seguirli. Svoltano a sinistra in una stradina sterrata che diventa
sentiero e si perde in un campo di grano turco; i bambini si mettono a
correre ridendo, eccitati e divertiti, accelero per stargli dietro, ma
il grano e’ ben piu’ alto di loro e quando il sentiero curva li perdo di
vista; rimango un attimo sola ad avanzare, contagiata dal loro
entusiasmo; e’ un momento magico, mi chiedo cosa ci sara’ alla fine del
sentiero, mi immagino una casetta piccola e la mamma di Bobby che mi
guarda con aria interrogativa, io le porgo le foto del figlio e lei
scoppia in un pianto di gioia, io la abbraccio e le dico “Donna, asciuga
le tue lacrime: Bobby e’ salvo!” musica, titoli di coda, applauso del
pubblico commosso. Qualcosa cosi’.
Invece mi si para davanti una figura ben lontana dal mio immaginario: un
signore albino, alto e magro, con un cappello di lana nero, che mi
viene incontro con un’andatura scompostissima “Salve… sto cercando una
persona, magari puo’ aiutarmi, si chiama…” “Vieni, vieni, sei l’italiana
forse” “Si’” “Ho saputo al telefono” e gia’ la poesia si incrina. Ma
Bobby mi aveva detto che avrebbe telefonato al fratello “Sei il fratello
di Bobby? Sei tu?” “Si’, vieni, vieni!” Il fratello di Bobby! L’ho
trovato! Pochi metri dopo, siamo di fronte ad una casetta con le pareti
di bamboo e il tetto in lamiera, circondata dal verde brillante del
granturco giovane; delle persone chiacchierano sedute su sedie di
plastica nel piccolo spiazzo di terra battuta di fronte alla casa.
Ci salutiamo e presentiamo. Con impazienza tiro fuori le foto e chiedo
“Dunque, chi e’ la mamma di Bobby??” addocchio una bella signora
corpulenta che sorride dalla sua sedia. “E’ lei!” ma mi indicano
un’altra persona: una vecchina piccola piccola, secca secca, che sembra
impossibile abbia mai potuto partorire un ragazzone come Bobby. La porgo
le foto, lei le prende, da una rapida occhiata annuendo, poi le passa
agli altri che dicono solo “Ah, si’!”. Morta li’. Ma come??? Dove sono
le lacrime? Le urla di gioia? Quattordici anni! Suvvia, facciamola un
po’ di scena! No, nulla. Maledetti telefoni.
Come predetto da Bobby, la sua famiglia insiste per ospitarmi e
rimaniamo d’accordo che l’indomani lascero’ il mio bungalow e mi
trasferiro’ a casa loro.
Dunque, eccomi nella mia nuova famiglia indonesiana.
Qui il tempo e’ ben diverso da quello trascorso nei giorni precedenti
nel mio bungalow sulla spiaggia. Qui, lo sguardo non puo’ correre libero
sul mare, ma e’ limitato dal granturco che circonda la casa a
trecentosessanta gradi; l’orizzonte non porta vento, se non prima dei
temporali e il sole picchia sul tetto di lamiera senza nessun riguardo.
La sera, quando le attivita’ sono interrotte dal buio, ci sediamo tutti
davanti a casa alla luce di una candela e chiacchieriamo godendoci la
frescura tanto attesa.
Faccio discorsi particolarmente interessanti con il fratello di
Bobby. Il migliore in assoluto e’ iniziato quando gli ho detto che mia
madre e’ africana: “E tu ci sei mai stata in Africa?” mi ha chiesto
“Si’, diverse volte”
“Com’e’?”
“Be’, e’ molto diversa dall’Asia, e’…”
“E’ vero che ci sono tanti negri?”
“Be, ecco, si’… indubbiamente!”
“Pieno di negri!”
“Eh si’… e’ che gli africani sono neri”
“Ah! Tutti negri!”
“Non proprio tutti: ad esempio in Nord e in Sud Africa ci sono…”
“Ma scusa, com’e’ il clima?”
“Dipende. In alcuni posti e’ proprio come in Indonesia”
“E allora perche’ noi non abbiamo i negri??” ossignore!
“Ma si’ che li avete: in Papua!”
“Agli americani non piacciono i negri, un mio amico americano mi ha
detto ache gli americani non piace che si parli dei negri, che loro si
arrabbiano se li nomini”
“Io credo volesse dire che c’e’ chi considera offensivo usare la parola negro”
“Comunque i negri fan paura: grossi e neri come il diavolo!”
e cosa vuoi che ti dica? “…mmm…eh, si’…”
Onestamente, quanto sareste disposti a pagare per assistere a questo discordo fatto da una MULATTA e un ALBINO?? Ridicolissimi!
Su quest’isola la gente ha la carnagione come la mia. Chi lievemente
piu’ chiara, chi lievemente piu’ scura. Io rientro esattamente nella
media, il che’ mi porta un sacco di vantaggi. Certo e’ sempre Asia, per
cui la pelle piace chiara esattamente come in Europa piace abbronzata…
ma il fatto di essere “diversa ma uguale” suscita nelle persone
un’immediata simpatia e la mia carnagione e’ inevitabilmente motivo di
lunghe discussioni e grande entusiamo. Non vedo perche’ ci sia da farne
tanto una questione, ma buon per me.
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