Paga (Indonesia), 29 gennaio 2013
Credo che ora in citta’ non sia piu’ consentito (nei villaggi certo
si fa quel che si vuole e ognuno porta avanti indisturbato le proprie
tradizioni), ma fino a un po’ di tempo fa in Burkina Faso era diffusa
l’usanza di seppellire i propri cari in cortile. Quest’abitudine e’ poi
andata a scontrarsi con la nuova tendenza di cambiare casa che forse in
passato non era cosi’ comune. Come si fa se si vuol vender casa? Si
vende anche la tomba dei propri genitori? E chi mai se la vorra’
comprare?
A Flores, dove l’usanza e’ la stessa, la soluzione al problema e’
questa: nel momento in cui si cambia casa, si porta con se una pietra e
questo gesto rappresenta lo spostamento dei defunti. I nuovi proprietari
possono dunque decidere di radere al suolo le tombe, che grazie alla
pietra spostata ormai non sono che inutili costruzioni svuotate del loro
significato, e ripartire da zero. Cosi’, dove lo spazio lo consente,
ogni casa ha i suoi sepolcri davanti e i vivi e i morti continuano a
convivere, uniti, nonostante la diversa condizione.
Le tombe sono ben lontane dall’essere semplici oggetti commemorativi o
luoghi di pianto: al contrario, sono luoghi di incontro di utilita’
pratica quotidiana; si tratta di una superficie piana in genere
piastrellata e pulita e alle volte protetta da una piccola tettoia:
questo significa che ci si puo’ sedere, sdraiare, fare i compiti,
stendere il bucato al riparo della tettoia e quant’altro.
Gran parte delle mie serate con i miei nuovi amici si conclude a casa di Inos, a chiacchierare, suonare, giocare a carte e cantare tra sigarette e bicchieri di arak (distillato di palma), sull’ampia tomba piastrellata di Maria Bewat, nata nel novembre del 56 e morta nell’aprile del 2010.
Gran parte delle mie serate con i miei nuovi amici si conclude a casa di Inos, a chiacchierare, suonare, giocare a carte e cantare tra sigarette e bicchieri di arak (distillato di palma), sull’ampia tomba piastrellata di Maria Bewat, nata nel novembre del 56 e morta nell’aprile del 2010.
Nel villaggio di Lenandareta, nella regione di Sikka, la questione e’
piu’ interessante. Qui, chi puo’ permetterselo economicamente, opta per
particolarissime tombe di pietra: si tratta di un unico blocco di
pietra in cui, con un lavoro di mesi, viene scavata a mano una cavita’
di almeno mezzo metro di profondita’; il corpo del defunto viene poi
inserito all’interno del buco in posizione fetale, a rappresentare il
concludersi di un ciclo; la pietra viene sigillata con una tecnica
particolare che impedisce la fuoriuscita di odori e chiusa con un’altra
lastrona posata al di sopra. Se la tomba viene scavata in una roccia
gia’ presente sul posto i costi sono piu’ contenuti; ma se la pietra in
questione viene fatta portare dall’esterno, i prezzi sono altissimi
perche’ includono il trasporto; date le dimensioni delle pietre, le
persone coinvolte nell’eventuale trasporto e nel lavoro di scultura
(entrambe le pratiche vengono svolte a mano) sono moltissime e questo
spiega perche’ solo i piu’ abbienti possano permettersi una simile
sepoltura.
Ma quel che trovo davvero interessante e’ il fatto che la
preparazione della tomba venga gestita dal suo stesso utilizzatore.
Giunto in eta’ adulta, un giorno uno decide che e’ ora di iniziare a
prepararsi e fa patire i lavori. Un giorno qualunque, non al compleanno
dei 50 o alla prima luna piena del mese di maggio… un giorno qualunque!
Lo trovo incredibile! Magari e’ gia’ un po’ che ci pensi, poi ti svegli
un mattino e ti dici “Sai cosa? Oggi inizio a costruirmi la tomba” e poi
per mesi (mesi!) senti gli scalpelli che lavorano, magari vai a
controllare come procedono i lavori. Per mesi! E quando finalmente e’
pronta, sta li’ davanti a casa, solida, concreta e irremovibile, ad
aspettarti per ogni restante giorno della tua vita.
Credo sia una tradizione straordinariamente formativa quella di Lenandareta, farebbe tanto bene alla nostra societa’. A qualunque societa’. Sara’ un’idea mia e sara’ un’idea sbagliata, ma ho la sensazione che si ritroverebbe un sano equilibrio se, semplicemente, ci preparassimo a morire, ma davvero, non solo una cosapevolezza all’acqua di rose campata li’alla veloce; se tutti, ma proprio tutti, come normale rito sociale, ad un certo punto prendessimo in mano il nostro scalpellino e dedicassimo un po’ di tempo, magari qualche mese, a realizzare una solida, concreta e irremovibile accettazione.
Credo sia una tradizione straordinariamente formativa quella di Lenandareta, farebbe tanto bene alla nostra societa’. A qualunque societa’. Sara’ un’idea mia e sara’ un’idea sbagliata, ma ho la sensazione che si ritroverebbe un sano equilibrio se, semplicemente, ci preparassimo a morire, ma davvero, non solo una cosapevolezza all’acqua di rose campata li’alla veloce; se tutti, ma proprio tutti, come normale rito sociale, ad un certo punto prendessimo in mano il nostro scalpellino e dedicassimo un po’ di tempo, magari qualche mese, a realizzare una solida, concreta e irremovibile accettazione.
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