Thursday, February 13, 2014

Due segreti

Melbourne (Australia), 10 febbraio 2014


Devo svelare un segreto a tutti gli statunitensi: la famosissima specialitá italiana nota come Salsa Alfredo in Italia NON ESISTE. Mi impegno formalmente a fomentare le rivolte se non verrá aperta un'indagine sull’identitá e la scomparsa di questo Alfredo che é arrivato all'estero con la ricetta della besciamella dicendo “L’ho inventata io”.

E ora un segreto per tutti gli italiani: la bandierina delle cassette delle lettere statunitensi non la alza il postino per dire “C’è posta da ritirare!”, ma la alza il proprietario per dire “C’é posta da spedire!”. Il postino infatti si occupa anche della spedizione porta a porta, non solo della consegna. 
Forse ero l'unica a non saperlo. Vabbuo'.

 

Wednesday, February 12, 2014

Fievel sbarca in America


Melbourne (Australia), 17 febbraio 2014

Ho messo ufficialmente piede su suolo americano il 3 settembre, non senza complicazioni. Diciamo che la polizia statunitense non è esattamente rinomata per il suo atteggiamento caloroso ed accogliente, ma non solo: pare abbiano addestrato gli ufficiali dell’immigrazione estera a spalmare il primo strato di terrore nelle menti dei viaggiatori, a dare una prima infarinatura generale di disagio.
Infatti al controllo passaporti durante il mio scalo in Olanda, vedendo che ero diretta a San Francisco, l’ufficiale ha di colpo assunto un’espressione grave e con il tono piú duro che potesse permettersi senza risultare verbalmente violento, mi ha bombardata di domande: “Dove sei diretta? Cosa stai andando a fare negli USA? Hai intenzione di lavorarci? Qual è la tua professione?” Col senno di poi, avrei potuto dargli una pacca sulla spalla in segno di cameratismo tra europei e dirgli “Dai, come se te fregasse qualcosa a te!” ma in quel frangente ho risposto diligentamente ad ogni domanda forzandomi di sembrare il piú naturale possibile nel dire la veritá; il risultato é che mentre dicevo “Vado a San Francisco a trovare un amico, si tratta di un viaggio di piacere, sono un’infermiera”, sembrava stessi pensando “Non dire che vai a Washington ad avvelenare Obama, si tratta di un viaggio d’affari legato al traffico d’organi di seguaci del Falun Gong e gestisci un giro di bordelli nelle peggiori periferie di Chivasso”.
Perchè di fronte ad una divisa mi devo sempre sentire dalla parte del torto? Io! Io che quando viaggio non metto il reggisseno col ferretto per evitare di far suonare il metal detector!
Ma in qualche modo, se non il mio atteggiamento, la mia faccia da brava ragazza lo ha convinto a lasciarmi passare e dopo la traversata atlantica, sono arrivata a Seattle per l’ultimo scalo, l’ultimo controllo passaporti e l’ingresso ufficiale su territorio americano.


L’ufficiale dell’immigrazione di Seattle ha attaccato con le solite legittime domande e illegittimo tono intimidatorio: “Dove sei diretta? Cosa stai venendo a fare negli USA? Hai intenzione di lavorarci? Qual è la tua professione?” fin lí tutto bene, le sapevo tutte, poi la sorpresa: “Posso vedere il tuo biglietto di ritorno?” Ops. “Quale biglietto di ritorno??” “Segui il mio collega”con un cenno ha chiamato un altro ufficiale che mi ha portata altrove.
Data l’attenta preparazione che caratterizza ogni mio spostamento, dev’essermi in qualche modo sfuggito che fosse necessario avere un biglietto di ritorno per dimostrare che non si ha intenzione di far la muffa lí. Cosí mi sono ritrovata in uno stanzino a rispondere a domande improbabili.
“Perchè stai andando a San Francisco? Come si chiama il tuo amico? Hai il suo numero di telefono? Di chi è quest’altro numero? Perchè hai il numero di suo fratello? Avete intenzione di sposarvi? Qual è la tua professione?...”
Fortunatamente, contattato per telefono, Martin è riuscito a tirarmi fuori dai guai con il potere della dialettica: “Avete intenzione di sposarvi?” “Oddio, spero proprio di no!” L’ufficiale si è messo a ridere, mi ha timbrato il passaporto e mi ha lasciata entrare senza biglietto di ritorno.


Saturday, February 8, 2014

Il ritorno (una storia di paura)

Melbourne (Australia), 7 febbraio 2014

La tentazione di far finta di nulla e saltare a piè pari gli ultimi mesi è forte, ma non lo faró, perchè significherebbe tralasciare quella che per me è stata una delle parti piú significative di tutto il viaggio: il ritorno.

Ad un certo punto in Indonesia ho iniziato a sentire crescere il desiderio di tornare, con la stessa se non maggiore intensitá con cui poco piú di un anno prima avevo sentito quello di partire. Per cui il 27 aprile, sono salita sun un aereo e sono tornata a casa.
Ora la faccio semplice, in realtá non lo è stato affatto e non solo perchè il mio aereo era guasto e non è mai decollato (ma questa è un’altra storia).  
Dal momento in cui ho deciso di rientrare, forse per la prima volta dalla partenza, ho provato paura: prima paura di morire, poi paura di tornare ed in fine paura di non poter tornare piú.
Durante i mesi precedenti, mi era capitato spesso di pensare -e pensarlo sinceramente- “Se muoio adesso, davvero, va bene”, speravo solo che la gente potesse capire questo: che ero felice in quel luogo e in quel momento e qualunque fosse stato il prezzo da pagare, a me sarebbe andato bene, perchè non avrei voluto essere in nessun altro posto e in nessun altro tempo. Quel che deve succedere succeda.
Quando ho iniziato a proiettarmi nell’immagine di casa, un altro pensiero ha preso prepotentemente il posto di quella pace interiore: “Non deve succedermi niente!” non deve succedermi niente non deve succedermi niente non deve succedermi niente... un pensiero ossessivo e spaventoso: non deve succedermi niente, non qui, non adesso, che devo andare a fare merenda al Convitto con Nicole, devo sentir suonare mio fratello, devo conoscere il piccolo Samuele... Ho iniziato ad aver paura di attraversare la strada, a usare il taxi anzichè le mototaxi per il terrore del traffico... 
Arrivata sana e salva all’aeroporto di Singapore, ho finalmente abbandonato il peso dei miei timori, solo per trovarne di nuovi: la paura di tornare. Che in realtá è un’accozzaglia di contrasti: paura di essere il centro dell’attenzione e di essere tagliata fuori; paura di scoprirmi insoddisfatta del mio mondo di sempre e di deludere aspettative altrui; di non riuscire a condividere quest’esperienza, di aver creato distanze irreparabili; desiderio di normalitá e paura di dimenticare; paura di sentirmi sola e desiderio di esserlo. 
Insomma, salire sull’aereo è stato un puro atto di coraggio (non quello guasto, un altro, altrimenti sarebbe stato un puro atto di follia) e senza saperne nulla sono decollata verso il terzo timore: quello di non riuscire piú a tornare.
Ho passato i primi giorni in Italia ospite in Valchiusella aspettandomi forse di sentirmi subito accolta dalla famigliaritá dei luoghi... invece non mi sono sentita a casa. Ovvio, mi sono detta, qui ci ho vissuto solo fino ai 12 anni, non è piú casa mia! 
Dopo la Valchiusella sono stata ospite per qualche giorno a Ivrea... e di nuovo non mi sono sentita a casa. Ovvio, mi sono di nuovo giustificata, qui ci ho vissuto solo fino ai 18 anni, non è piú casa mia! 
Dopo Ivrea sono finalmente arrivata a Torino, dove ho passato gli ultimi anni della mia vita, dove ho lasciato la mia rete sociale piú recente e i ricordi piú caldi... ma non mi sono sentita a casa. La terza paura non é esattamente non riuscire piú a tornare , bensí non avere piú un posto a cui tornare.
E’ una sensazione estremamente brutta, che mi ha tenuta una mattinata a riflettere su una panchina di piazza Carlo Alberto, sola, con lo zaino a finaco e la desolazione in faccia. 
E’ stata Natti a farmi capire per prima, e tutti gli altri poi, che casa per me non é un posto, ma sono i legami con le persone. E’ una di quelle cose che si leggono nei Baci Perugina e che credevo di sapere; poi l’ho vissuta sulla mia pelle e ho capito che, no, prima non l’ho mai saputo davvero.




Non mi sarei mai aspettata di imparare tanto dal semplice fatto di rientrare: a misurare la mia felicitá usando come metro la paura della morte, a dare alle relazioni il valore che meritano, a non dire mai piú ad ognuno dei miei amici “Promettimi che quando torno andiamo a mangiarci una pizza!”, perchè poi una pizza al giorno non la reggo.
Ma soprattutto, ho imparato a vedere “i miei luoghi” con l’occhio ancora impostato sulla modalitá viaggio e ne ho colto la bellezza senza bisogno del filtro dell’esotico. La Valchiusella è incantevole; a Torino ho davvero apprezzato il sole che si incanala in via Garibaldi al tramonto, nonostante il riflesso accecante della luce sulla pietra; il modo in cui i palazzi incorniciano perfettamente la Gran Madre quando da via Po si arriva verso piazza Vittorio; l’illusione di mare dei Murazzi nei pomeriggi estivi... quando settembre è arrivato sono partita forse un po’ troppo in anticipo rispetto alla voglia di partire.


Thursday, February 6, 2014

Work in progress

Melbourne (Australia), 5 febbraio 2014


Con rinnovato entusiasmo e scarsa costanza, riprendo ad aggiornare il blog.
Questa è solo una finta, non c’è nulla di nuovo per ora, solo un copia-incolla dei vecchi post costatomi interminabili ore di lavoro e una nuova grafica con uccellacci del malaugurio in alto a destra.
Ci tengo a precisare per gli ipocondriaci, ovvero Alberto, che non si tratta di un problema di vista di nuova insorgenza: le foto sono effettivamente poco nitide. E’ che per tutelarmi da eventuali furti ho consapevolmente scelto di caricare immagini a bassissima risoluzione.
No, non è vero, è solo che non ho voglia di ricaricarle una per una e col copia-incolla questo è il meglio che sono riuscita a fare...
In compenso c’è una novitá a dir poco esaltante: se mi ricordo di registrare la “location”, cliccando sul link qua sotto (location, appunto) si apre magicamente google map. E se, oltre ad essermi ricordata di registrarla, la location l’ho pure azzeccata, google map dovrebbe indicare il luogo a cui si riferisce il post.     
Ah, la tecnologia!