Con questo lavoro, in teoria io sono libera di comunicare la mia
disponibilitá sui tre turni all’agenzia settimanalmente. Loro dovrebbero
settimanalmente contattarmi per propormi dei turni compatibili con le mie
disponibilitá e io potrei accettarli o rifiutarli a seconda di ció che piú mi
aggrada, perché essere uno special con contratto casual vuol dire
essere liberi. In teoria. In pratica gli ospedali fan richiesta all’ultimo per
cui l’agenzia mi contatta all’ultimissimo (e quando dico ultimissimo, intendo davvero
ultimissimo) e io non c’ho na lira, quindi mi guardo bene dal rifiutare
qualsivoglia turno, dato che non so mai quando sará la prossima volta che mi
chiameranno.
Nella pratica, la mia vita da PCA, la mia
gavetta da infermiera, funziona cosí...
Sto dormendo profondamente. All’improvviso un
casino indefinito, extrasistole da “cosa sta succedendo??” poi capisco: é il
telefono. Nella confusione mentale del sonno interrotto allungo una mano
chiedendomi perché mai il mio cellulare stia suonando per avvisarmi che la
batteria é carica al 100% e solo dopo qualche secondo mi rendo conto che si
tratta invece di una chiamata.
“Proonntooo?”
“ProntoNicolechiamodallagenziaTalDeiTali” sono rallentata io o é accelerata
lei? capisco solo agenzia. Non per altro, ma perché nella costruzione
inglese la parola agenzia occupa l’ultimo posto nella frase.
Fortunatamente é la parola chiave e capisco di cosa si tratta. “Sí, mi dica!”
“Nicole, potresti lavorare oggi per uno special dalle 7 alle 19 al San
Vincenzo, reparto 10 Ovest?” “Si, certo!” “7-19 al S.Vincenzo, 10 Ovest”
“Certo, certo, va benissimo!” “Grazie Nicole, buona giornata” “Buona giornata!”
riaggancio. Bene! Dalle 7 alle 19, reparto... merda! Li richiamo. “Pronto, scusi, sono
Nicole... qual era il reparto?” riaggancio. Dunque, 7-19 reparto 10 Ovest
del... merda!! Li richiamo. “Pronto... ancora Nicole... e qual era
l’ospedale??” Non ce la faccio a memorizzare!! Non ce la posso fare! Andiamo,
oggettivamente, sono pretenziosi loro a pensare che la mia mente, naturalmente
settata sull’italiano nel sonno, possa capire e registrare ben tre dati a due
secondi da un risveglio brusco... é inumano!
Mi siedo sul letto e guardo l’ora: 6.03.
Onnnoo!! Correre! Mi butto addosso dell’acqua e una divisa, maledico la me di
ieri che pensando “figurati se mi chiamano domattina!” ha deciso di non stirare
la camicia, maledico ogni bottone della camicia e le mie fisiologiche
difficoltá di coordinazione delle 6 del mattino.
E intanto devo pensare, cercare di
concentrarmi e valutare quale sia la scelta migliore: bici o treno? Bici o
treno? L’ospedale dista quasi 8km da casa mia, ci metto circa 40 minuti in
bici; la mia bicicletta pesa quanto un Ciao e, poichè qui non ci si cambia a
lavoro, se mi impegno rischio di arrivare con la divisa fradicia di sudore; se
non mi impegno o se mi cambio in ospedale rischio di arrivare in ritardo; in
ogni caso rischio di non arrivare affatto, dato che non ho tempo per fare
colazione e l’unica energia a cui posso attingere mi é data dall’ansia di
arrivare in ritardo. Bici o treno? Bici! Mi si chiederá perché non il treno...
non dimentichiamo che con questo tipo di contratto non ho la certezza di quante
ore lavoreró in un mese, non sono che un’immigrata che lavora a giornata come i
braccianti del Mississippi, non posso certo permettermi il lusso di pagare il
biglietto del treno tutti i giorni!
Cosí salto in sella al mio destriero e arrivo
trafelata in reparto, dove mi attendono dodici ore quasi ininterrotte di
camminata circolare inseguendo un vecchino con demenza armato di deambulatore
che mi insulta in macedone e cerca di picchiarmi e mordermi ogni volta che lo
trascino fuori dalle stanze degli altri degenti. Dodici ore. Neanche per
raggiungere il campo base dell’Everest ho mai camminato tanto in un solo
giorno.
E questa è la mia gavetta oltreoceanica nella
quotidianitá. Urca! Tenete a freno l’ividia! Metto un po' di foto di bei posti a caso, per compensare (non proprio a caso: e' tutto qui in Victoria!)
La levataccia alle 6 con chiamata a sorpresa
questa settiamana è stata la norma e rispetto alla capacitá di memorizzare la
conversazione non accenno miglioramenti (ma mi è stato consigliato di tenere
carta e penna sul comodino, buona idea...).
I turni non sono sempre cosí, a dire il vero
quello è stato il peggiore. Il piú delle volte il grosso delle mie energie lo
spendo cercando di capire il senso del mio esser lí. Ad esempio, quando la
consegna é “Ragazzo autistico ricoverato per difficoltá di gestione a
domicilio, puó essere aggressivo e violento... non entrare nella stanza” ma
come?? “prenditi una sedia e mettiti qui in corridoio davanti alla porta” che,
ci tengo a precisare, era chiusa. Non ho passato proprio tutto il turno in
corridoio, ma buona parte.
Insomma, non si tratta di un lavoro difficile
o stancante, alle volte non richiede piú impegno del semplice fatto di esserci. La difficoltá sta nell’abituarsi al fatto che
non si sa quando e se si verrá chiamati e nel trovarsi ogni volta in un
ambiente nuovo con persone nuove.
Un’altra difficoltá spesso é la consegna:
sulla terminologia scientifica e sul vocabolario intraospedaliero il mio
inglese ha ancora delle lacune non indifferenti, per cui mi é capitato piú
volte di ritrovarmi in situazioni del tipo “La signora é fortemente confusa e
allucinata, ha lamentato mal di testa e nausea nell’ultima mezzora, ora sta
dormendo. Si mobilizza da sola, ah, occhio: è ad altissimo rischio di aztrugatnat.
Ha una dieta per diabetici...” ops, forse non ho solo capito “Alto rischio di
cosa?” “Altissimo rischio di aztrugatnat. Che si mobilizza da sola te l’ho
detto, poi, ha una dieta per diabetici, mangia da sola...” cosa avrá voluto
dire?? E’ divertente poi vedere le ipotesi che formula il mio cervello:
altissimo rischio di cosa? Cosa potrá mai fare la signora a cui devo stare
attenta? Sputa? Si nasconde? Si infila le biglie nel naso? Levatele le biglie e
non venite a stressare me, diamine!
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