Tuesday, May 27, 2014

Il Grande Fratello vietnamita



Perth (Australia), 1 Maggio 2014.

Durante il viaggio in Asia ho fotografato ogni letto... bé, “letto” sarebbe riduttivo e concettualmente errato, diciamo ogni “posto” in cui ho passato la notte. O parte di essa. 
Questa piccola collezione di immagini ora é raccolta sul mio computer in una cartella che si chiama Travel Homes, in attesa che decida cosa farne. Sono immagini di luoghi molto diversi tra loro. Ogni tanto, mi fa piacere riguardarle e rendermi conto che ognuno di quei letti, sedili, pavimenti, ognuno di quei "posti", in qualche modo, per qualche notte o qualche ora, è stato per me una sorta di casa. 





A Perth, per un mese, ho chiamato casa un in incrocio tra un ostello e un appartamento in cui ho convissuto con altre ventidue persone. Non si tratta esattamente di un ostello perché la gente ci si ferma un po’ piú a lungo termine, quindi non c’é un via vai continuo e non c’é una reception; ma non si tratta neppure di un appartamento, o per lo meno di uno normale, per via del numero di persone che ci vivono e per il fatto che le stanze sono in condivisione.
Gli inquilini sono tutti giovani lavoratori dalle provenienze piú disparate. Durante la settimana la casa mantiene un’apparente atmosfera di tranquillitá: gente che esce presto al mattino e torna da lavoro la sera, gente che esce la sera e torna da lavoro a notte fonda. Poi, grazie alla magia dell’alcool, nel weekend la situazione sfugge un po’ di mano e la casa si trasforma in un... in un locale notturno senza buttafuori, in uno zoo, in un porcaio, in un... non lo so, in ogni caso in qualcosa di piuttosto imbarazzante.
Da buona astemia, ero tra i pochi a rendersi lucidamente conto del quadro globale dei venerdí e sabato sera e spesso la prima ad aggirarsi con una tazza di latte e muesli in mano il sabato e la domenica mattina tra i corpi inanimi di perfetti sconosciuti spentisi sui vari divani a chissá quale ora della sera precedente. Corpi quasi immobili. Tutto attorno, macerie. 
Fatte le dovute proporzioni, ogni volta che ho tirato fuori la macchina fotografica per documentare ció che stavo vivendo, mi sono sentita vagamente simile a Salvatore Esposito ne Le Vele di Scampia. Un'esperienza di vita interessante.


Allo scadere del mese, per questioni lavorative, mi sono ritrovata a cercare casa ad una quindicina di chilometri a nord del centro di Perth. 
Ho trovato un annuncio su internet per un posto letto a ottimo prezzo, rivolto esplicitamente ed esclusivamente a ragazze asiatiche. Il tutto suonava cosí sessista, razzista ed economico, che non potevo non rispondere. E infatti mi hanno presa! 
Il giorno del “colloquio”, dopo varie spiegazioni e domande, il padrone di casa vietnamita ha concluso esprimendo il suo verdetto: “Well, you look decent enough!” non ho neanche provato a trattenere la risata, sono riuscita a rispondere solo “Thank you!”. E mi ha dato le chiavi.
Cosí ora sono ufficialemnte asiatica e vivo in casa di questa famiglia vietnamita che affitta alcune delle stanze a brave ragazze asiatiche come me (no, loro davvero). Aspetto con terrore il giorno in cui qualcuno si accorgerá dell'inganno e mi additerá urlando "Hey, aspetta un attimo, ma tu sei negra-pallida!!", verro' cacciata di casa tra gli insulti o forse linciata. Ma fino a quel giorno, mi godo la mia stanzetta.
A dire il vero, la mia non é esattamente una stanza, ma un letto in soggiorno separato dal resto del mondo  da una tenda da doccia bianca. Le altre quattro ragazze non sono minimamente di compagnia, ma neanche di intralcio e io so apprezzare la solitudine, il bel giardino sul retro, il patio sulle cui poltrone mi abbandono a lunghe letture nel sole del pomeriggio e il silenzio di questi quartieri residenziali infiniti e tristi. Qui le case si ripetono uguali a loro stesse come due specchi che si guardano e sui marciapiedi non si incontra mai nessuno. Non ci sono negozi, bar, piazze, panchine. C’é il centro commerciale, a qualche chilometro di distanza. Ci sono parchetti vuoti.
Non ho avuto modo di conoscere meglio i padroni di casa, poiché sono partiti per le vacanze in Vietnam prima che entrassi. Ma una cosa mi sento di dirla: devono essere persone piuttosto diffidenti, dato che in ogni stanza comune c’è una telecamera!
Ed è cosí che sono finita nel Grande Fratello vietnamita. Chi lo avrebbe mai detto! Mi piace pensare che a Saigon qualcuno mi guardi sottotitolata. Mi fa sentire importante.



Wednesday, May 14, 2014

Verso Ovest




Perth (Australia), 13 Aprile 2014

Una mattina la mia agenzia mi ha telefonato dicendo grossomodo “Spiacenti, non c’é piú lavoro, ti conviene cercarne un altro ”.
Trovare lavoro a Melbourne non è semplicissimo, soprattutto se si sono giá esaurite le energie in ricerche precedenti e anche solo l’idea di dover riprendere in mano il proprio curriculum  risulta frustrante. Mi é costato molta, moltissima fatica ma l’ho fatto e tra le decine e decine di richieste liberate in cielo come colombe bianche, una sola è tornata alla barca con un ramoscello d’ulivo. Da Perth.
Cosí, seguendo un’idea che in realtá mi frullava in testa da un po’, ho preso baracca e burattini e mi sono spostata a Perth, sulle note di Go West dei Village People (e qui un grazie è dovuto a chi mi aiuta a sdrammatizzare quando serve).
 
Ho passato le prime notti a Perth in un ostello lurido, poi sul pavimento del soggiorno di un ragazzo gentile, poi in una casa in condivisione con altre venti persone con un cuoco francese e un buttafuori maori come compagni di stanza. Esperienza quest’ultima che merita un post a sé.
Ho iniziato a lavorar... lavoricchiare, diciamo. Sempre come oss in ospedale, per l’agenzia Vattelapesca. Ma anche questo merita un post a sé.
Insomma, pian piano i vari pezzi hanno iniziato ad incastrarsi e la ruota ha ripreso a girare in questa nuova cittá.



Perth non é esattamente una cittá: é un cantiere. Stanno costruendo in ogni angolo, ad una velocitá impressionante. Sono molto curiosa di vedere cosa ne sará della Perth che sto conoscendo io, anche solo tra cinque anni.
Inizialmente la cittá mi é sembrata piuttosto bruttina. E in effetti lo è. Ora peró inizio ad affezionarmi a questo grosso paese. Ci sono quattro linee degli autobus gratuite con cui ci si muove davvero comodamente. C’è un fiume e se lo si attraversa si puo’ vedere l’inconfondibile skyline della cittá: grattacielo, grattacielo, gru, grattacielo, gru, gru... C’è un ritmo di vita lento e rilassato. C’è tranquillitá nell’aria. Ci sono belle spiagge raggiungibili in treno. Ci sono molti aborigeni. Ci sono gli alberi piú belli del mondo nel parchetto dietro casa mia. C’è piú autenticitá e meno voler apparire rispetto a Melbourne. C’é piú disagio sociale, peggio celato. C’é un clima perfetto. Ci sono prezzi tremendamente alti.
In particolare frutta e verdura hanno prezzi proibitivi. Passare dai mercati di Footscray ai supermercati di Perth é stato un trauma che non supereró tanto facilmente. Io capisco che sia una cittá piuttosto isolata, ma non é mica l’Antartide! Aglio 20$ al chilo (ma l’ho visto anche a 50, giuro!). Mele 6$ al chilo. Peperoni 10$. Zucchine 2$. La prima volta ci son cascata: oh, Zucchine 2$!! Mi sono avvicinata al cartellino:  zucchine 2$... l’una. Uff, maledette scrittine piccole...

Monday, April 28, 2014

Frantumi


Melbourne (Australia), 17 Febbraio 2014

Una cosa che apprezzo molto di questo lavoro in ospedale è il fatto che ogni turno non sia altro che un incontro ravvicinato di ore con una persona random.  Essendo una che divora autobiografie di gente a caso per il puro gusto di vedere quali storie incredibili racconta ogni vita, ho davvero trovato pane per i miei denti.
Certo, non tutte le persone che assisto sono nelle condizioni di condividere esperienze di vita, ma quando capita l’interlocutore giusto, ascolto avidamente.



L’Australia ha un cuore antico, come ogni altro luogo al mondo. L’Australia ha anche un cuore recente, frutto di un trapianto forzato operato dagli inglesi a fine 1700. A quei tempi il consenso informato non era in voga, la libera scelta era un concetto lontano e le conoscenze riguardo i rischi del rigetto ancora scarse. Nonostante ció, il cuore nuovo ha iniziato a battere e quello vecchio, pur devastato dalla procedura, non è stato estirpato del tutto.
Il cuore nuovo dell’Australia è nato come inglese, ma è diventato presto un mischione delle nazionalitá piú disparate e la maggior parte degli australiani di oggi, ieri erano altro: erano persone ben radicate a casa loro che per necessitá, per scelta, per caso, sono venute a popolare questa terra e oggi si ritrovano a spalmare Vegemite sul pane imburrato. 

Proprio qui, in questo carnevale culturale, in queste stanze di ospedale, nonostante la moquette per terra, a volte risuona forte l’eco dell’Europa del dopoguerra, portato qui dalle onde dell’oceano piú di mezzo secolo fa.
La figlia di immigrati ungheresi, il soldato macedone, i molti italiani, i polacchi... la seconda guerra mondiale ha sparato via persone con la stessa violenza di un bicchiere che va in frantumi  cadendo e ho avuto la fortuna di ascoltare un po’ delle loro storie grazie a questo lavoro. Ne sono grata.

Sunday, April 27, 2014

Codice grigio



Melbourne (Australia), 12 Febbraio 2014

Inizio il turno di notte con un paziente in ossigeno terpia. Come spesso succede, percepisce la mascherina come un ostacolo alla respirazione piú che un aiuto, cosí, comprensibilmente, ogni tanto se la toglie, il monitor starnazza,  lui si agita e piú si agita peggio respira e peggio respira piú si agita... ma basta poco a convincerlo e dopo qualche boccata d’ossigeno si tranquillizza di nuovo. Nulla di ingestibile.
Succede ad un certo punto che riesce a stringere il tubicino dell’ossigeno in maniera tale che le mie manine non riescono a liberarlo dalle sue manone e non c’è verso di convincerlo o distrarlo, per cui ingenuamente suono il campanello per attirare l’attenzione dell’infermiere e chiedergli un aiuto. Non l’avessi mai fatto!
Da quel momento la situazione precipita: l’infermiere prima prova a convincerlo con calma per svariati minuti. Ma anche la Montalcini sarebbe poco avvezza al ragionamento se non stesse ricevendo abbastanza ossigeno, infatti il poverino è sempre piú confuso, sempre piú agitato, sempre piú aggressivo. Quando dico aggressivo non bisogna immaginarsi un ultras con una svastica tatuata sul petto, armato di ascia e fatto di cocaina, ma un signore sulla settantina con un camice di cotone bianco che dice ad alta voce “NO! NO! VATTENE!” ed estende le braccia nude col chiaro intento ti tenerci lontani, non di picchiarci. A quel punto, spinto da ragioni che ad ora mi sfuggono, l’infermiere lo fa: prende il dect che ha appeso ai pantaloni e chiama un Codice Grigio.




La politica interna di questo ospedale è quella di tutelare sia l’utenza che gli operatori, per cui ogni operatore (me compresa) ha con sè un dect e nel momento in cui si senta minacciato per qualunque motivo, deve chiamare il numero d’emergenza, comunicare la propria posizione e richiedere un Codice Grigio (o Nero se l’aggressore è armato). Subito in tutto l’ospedale risuona questo annuncio: PREGO, ATTENZIONE A TUTTO IL PERSONALE: CODICE GRIGIO IN CARDIOLOGIA STANZA 7. RIPETO, CODICE GRIGIO IN CARDIOLOGIA STANZA 7!
Lo sento spesso quando lavoro qui, tra l’altro ad un volume abbastanza fastidioso da tenermi sveglia assieme ai calcoli in colonna quando faccio le notti, e mi sono sempre chiesta cosa succeda di fatto... ecco, succede questo: l’infermiere prende il dect e chiama un Codice Grigio, anche con una certa solennitá. Poi mi guarda e mi dice “Stai indietro e porta le sedie fuori dalla stanza!” Eh?? Le sedie? A questo punto sono curiosa come una scimmia, porto fuori le sedie scalpitando, perché questi australiani mi riservano spesso grandi sorprese: cosa succede adesso? Cosa potrá mai succedere sta volta?? 
Succede che l’annuncio risuona dagli altoparlanti e subito inizia ad accorrere gente: prima uno o due infermieri del reparto poi uno o due medici, poi altri infermieri, poi due agenti della sicurezza con le spalle larghe e la faccia severa, poi altri medici, poi altra gente che non ho idea di chi sia... in sei tengono il paziente sul letto, altri gli rimettono la mascherina e il saturimetro, due dottoresse valutano il flusso di ossigeno che non necessita variazioni, qualcuno fa domande sull’accaduto e scrive scartoffie... io, sbalordita dal marasma provocato dal mio semplice suonare il campanello e non vedendo come potrei anche solo fingermi utile, mi metto in un angolo e conto: tredici. Siamo in tredici in stanza!!
Per un attimo mi viene il dubbio: forse è in corso un trapianto multiorgano e non me ne sono accorta. Eppure no, è proprio solo un normalissimo signore che non vuole tenere l’ossigeno perché é confuso!
Quando la situazione rientra sotto controllo (ovvero esattamente com’era prima ch’io chiedessi aiuto), la gente se ne va sorridendo, salutandosi e ringraziandosi a vicenda e mi lasciano sola nella notte a risistemare le sedie proprio come dopo ad una festa -della quale mi è sfuggito il senso-. 
Diciamo che è indubbiamente rassicurante sapere e vedere che l’organizzazione in cui si lavora ha davvero tra le prioritá quella di proteggerti e ed è sacrosanto che come operatori sanitari non si accetti di sentirsi minacciati fisicamente o verbalmente... ma, nel caso specifico (e a dire il vero in tutti quelli a cui ho assistito successivamente), a me tutta questa mobilitazione per una mascherina sembra un tantino eccessiva. Sará che dalle mie parti non ho visto sollevare tanto casino neanche la volta in cui uno ha telefonato dicendo di aver nascosto una bomba. E fortuna che non era vero!