Monday, April 16, 2012

Ognuno al proprio posto

Ko Lanta (Thailand), 11 aprile 2012

Ko Phi Phi richiede uno sforzo di estraneazione estenuante. Spingo per abbandonare l’isola oggi stesso e dopo poche ore siamo in mare. Alle 16.30 sbarchiamo a Ko Lanta, un’isola meno turistica e piu’ economica. Al porto non troviamo ad accoglierci i taxisti dei vari resorts che di solito vengono a caccia di nuovi clienti freschi di sbarco. Buon segno, penso, finalmente un posto un po’ piu’ autentico. Il piano, ormai ben collaudato, e’ sempre lo stesso: affittare un motorino vicino al porto, lasciare li’ gli zaini e cercare una sistemazione valutando con tutta calma. Ci incamminiamo. Il cielo e’ basso, sta preparando un temporale, l’aria e’ pesante, i colori saturi, tutto attorno ha quella tonalita’ grigio-bluastra che precede i diluvi estivi. Imbocchiamo quella che sembra essere la strda principale; ci sono tutti i servizi di cui si possa aver bisogno, ma nessuno a gestirli. Nessuno nei negozi, nessuno nei locali, nessuno per strada. Eppure e’ tutto aperto. Troviamo quel che stavamo cercando: bike for rent. “Salve! Salvee! C’e’ nessuno?” Obelix si addentra nel locale, “Heyla-a!!”, attraversa il bar, passa oltre il bancone,  ”C’e’ nessunoo?!”, sparisce nelle stanze riservate al personale… nessuno. Rimango sola in strada, la situazione e’ irreale, si direbbe una citta’ fantasma, se non fosse per il fatto che ogni cosa e’ in ordine e sa di vita attiva: i portatovaglioli sui tavolini dei bar, i frigo pieni di bibite, i motorini parcheggiati… non e’ una citta’ fantasma: e’ una citta’ abbandonata frettolosamente. Mi domando, senza prendermi troppo sul serio, se non siano scappati sull’allarme di uno tsunami. Obelix riappare sulla strada “Sta per arrivare uno tsunami o cosa?”, mi chiede. Gli dico che stavo facendo lo stesso pensiero. Spunta dal nulla un uomo in moto, ci si avvicina e si ferma, senza spegnere il motore. “Siete appena arrivati con la barca?” “Si!” “Non so se lo sapete, ma molta gente se n’e’ andata di qui perche’ e’ previsto uno tsunami” “Un ts… e cosa dobbiamo… dove dobbiamo andare?” “Dritto di qui. Vedete quel cartello blu? Li’ girate a sinistra. Indica la via di evacuazione, seguite quei cartelli, ok?” e sparisce nello stesso nulla da cui era arrivato. Andando peraltro in direzione contraria al cartello. “…ok…”. Citta’ deserta, noi, cartello. E tra noi e il cartello, 200 metri di rettilineo. Mi immagino un’onda enorme che sfreccia sul mare a chissa’ quale folle velocita’ e il cartello non e’ che un puntino lontano. Non vedo promontori e siamo al porto: una volta girato a sinistra, quanti altri puntini lontani dovremo seguire per allontanarci sufficientemente dalla costa? E quanto tempo abbiamo? “Grandioso, ci mancava solo lo tsunami!” e ridiamo. Cos’altro dovremmo fare? Ridiamo e acceleriamo il passo. Non ci arriveremo mai, Obelix, mai! Almeno saremo abbastanza vicini da fare delle belle foto! Almeno potro’ aggiungerlo alla mia lista delle esperienze! Te l’avevo detto che abbiamo entrambi la linea della vita troppo corta, moriremo assieme, lo so! Solo lo tsunami ci mancava, solo quello… Istintivamente butto un occhio ai motorini, sperando che qualcuno abbia dimenticato la chiave e ogni tanto controllo che il mare sia ancora al suo posto, che non si sia risucchiato in se stesso. All’improvviso arriva un pick up. Ci sbracciamo. Si ferma. “Tsunami!” gli diciamo “Si, tsunami!” “Dove vai?” “Su’” “Possiamo…?” ci fa segno di salire e saliamo, dietro. Sposto con cautela un cesto di uova e mi faccio spazio per sedermi. L’auto e’ carica di cibo e acqua, il che’ significa che si tratta di una cosa seria. Ma ormai siamo salvi, il pick up divora i metri che separano i cartelli blu come se fossero centimetri. Ci fermiamo a una casetta nel bosco dove ci sono gia’ altre persone, delle donne parlano sedute a terra sulla veranda esterna. Ci sono dei bambini, c’e’ una signora anziana su una sedia a rotelle, c’e’ un cane. Aiuto a scaricare il cibo, poi mi siedo e aspetto, come tutti, senza sapere esattamente cosa. Arrivano due ragazze tedesche e una coppia di sessantenni, tedeschi anche loro, lei ansiosa di ritornare al bungalow dove stava preparando la valigia per la partenza del giorno dopo. Nel frattempo ha iniziato a piovere. Aspettiamo tutti assieme in questa sorta di famiglia improvvisata, nessuno ci chiede chi siamo, nessuno ci dice chi e’… e finalmente la notizia arriva: hanno tolto l’allarme, possiamo tornare. Tornare dove? Ormai e’ buio, non abbiamo un mezzo di trasporto, non abbiamo la minima idea di dove siamo! Decidiamo di farci accompagnare assime ai tedeschi al loro resort. Sara’ costosissimo immagino, ma in fondo e’ solo per una notte. Non credo che trovero’ una stanza migliore durante il resto del viaggio: acqua calda, frigorifero, tutto pulito… il primo letto da cui non debba togliere cacche di pipistrello prima di coricarmi, la prima doccia in cui non debba far stragi di formiche aprendo l’acqua. Ma prima di entrare in stanza vado in spiaggia. Il mare e’ rientrato di parecchio, ma e’ solo un’inoffensiva bassa marea. Cammino per qualche metro sulla sabbia bagnata che luccica alla luce della luna  e ho la sensazione di entrare nell’oceano. Lui che poco fa minacciava di voler uscire. Arrivo a bagnarmi i piedi e mi sembra di star facendo qualcosa di pericolosissimo. Va be’, per sta volta ognuno al proprio posto, ok? Mi giro e me ne vado.

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