Tuesday, April 24, 2012

Se la strada va

Pai (Thailand), 20 aprile 2012

Oggi, ultimo giorno a Pai, mi sono alzata all’alba e mi sono lanciata da sola in una passeggiata nella foresta per raggiungere una cascata. 7 Km di sentiero lungo il fiume, un percorso non impegnativo. Ho camminato le prime due ore canticchiando felice, che a vedermi da fuori ci si sarebbe chiesti dove fosse il cestino di vimini con la crostata per la nonna. Raggi di luce tra il fogliame, uccellini, lucertoline, anche ragni enormi e zanzare, ma che vuoi farci? E’ la foresta!



Ad un certo punto, sull’altra riva del fiume, vedo un serpente nero, snello, di una cinquantina di centimetri che striscia a nascondersi. E’ sempre poco piacevole vedere un serpente, ma non e’ certo un segreto che ce ne siano. D’altronde, che vuoi farci? E’ la foresta! Continuo la mia passeggiata cercando di non pensarci troppo: non voglio rovinarmi l’umore. Dopo un’altra mezzora, succede il fattaccio: lui e’ sul sentiero. Mi sente e si muove. Allora io lo vedo e urlo. Quindi lui scappa e io posso vederlo per intero: un metro e mezzo di serpente verde-grigiastro del diametro di un mio braccio, che si allontana veloce, ma quasi goffo talmente e’ grosso. E giuro, sono sicura, non era meno di un metro e mezzo. E’ la foresta… e’ la foresta un cavolo! Si parla di reazione di tipo attacco o fuga, ma nella realta’ il cervello opta spesso per una versione piu’ ludica, una sorta di “uno, due, tre, stella”: “uno, due, tre… adrenalina!” e non ci si puo’ piu’ muovere. Rimango bloccata, tutta contratta, chiusa su me stessa. La mente torna lucida per prima e inizio a trattarmi come se il mio corpo non fosse mio: ok, prenditi il tempo necessario, non c’e’ fretta, non c’e’ bisogno di aprire le mani adesso, di rilassare i bicipiti, vuoi stare cosi’? Stai cosi’, aspettiamo che il cuore rallenti, ora passa… e in effetti passa, torno gradualmente in controllo di me stessa. Non senza indugio, provo a proseguire, non vedo motivi razionali per cui non dovrei farlo, ma sono impregnata di terrore. Perche’ non si e’ nascosto prima? Perche’ non mi ha risparmiato di doverlo vedere? Lo odio per la paura che mi ha lasciato addosso: non ho mai avuto la fobia dei serpenti, non voglio cominciare adesso, stavo bene anche senza, davvero, il mondo era un posto tutto sommato vivibile quando i rami erano rami, le radici radici e le lucertole lucertole… ora sono tutti serpenti.
Resisto un’altra mezzora, ma la tensione non accenna a diminuire, ogni passo e’ un’inutile tortura, per cui decido di smettere di violentarmi senza motivo e di tornare indietro. Sto per farlo, quando dal sentiero mi viene incontro a passo deciso un uomo. E’ un russo di 58 anni, ma che ne dimostra 10 in meno, tutto tonico, dai movimenti bruschi e sicuri. Io li adoro questi personaggi! Questi uomini dell’Europa dell’Est che trasudano senso pratico, testosterone concentrato nella versione sovietica di Rambo… li adoro! Gli racconto del serpente, lui mi ascolta e mi chiede solo “Ti ha attaccato?” “Attacc… no! Certo che no!” “Io vado la cascata, vieni?” E me lo chiedi?? Parla inglese come gli indiani dei western (ma con accento russo) e cammina spedito come se dovesse andare a spaccare la faccia a qualcuno, mentre mi racconta di quella volta in Birmania quando, su un ponte, e’ stato attaccato da un cobra che… io gli zompetto dietro corricchiando per tenere il passo, sembro un cucciolo scemo dietro a un dobermann incazzato. Butto il bastone con cui percuotevo ossessivamente il suolo: a cosa mi serve un bastone quando ho un russo da combattimento che mi apre la strada? Intanto il sentiero si fa sempre piu’ incerto, poi sparisce del tutto, risaliamo il fiume saltando sulle pietre. Accenno alla possibilita’ di desistere, ma la risposta e’: “Se la strada va, io va.” Irremovibile. Vorrei dirgli che quella non e’ una strada, bensi’ il letto del fiume. Vorrei chiedergli se ha intenzione di arrivare alla sorgente… invece lo seguo in ammirato silenzio. Lo segurei dovunque uno cosi’! Si ferma solo per fotografare le forme strane create dai rampicanti sugli alberi: tira fuori la macchina fotografica da un borsone da palestra, mi indica il tronco dicendo “Design!”, punta, scatta, mette via e riparte.


Siamo arrivati alla cascata, abbiamo nuotato, diviso il pranzo parlando di fotografia e siamo rientrati perdendoci in una foresta di bamboo. Ha voluto accompagnarmi a casa sulla sua bicicletta, dicendo “Abbiamo avuto buona strada assieme, bisogna finire assieme!” alla faccia della buona strada! Ho le gambe piene di lividi e tagli! Be’, un motivo in piu’ per accettare il passaggio.
In seguito ho cercato di informarmi e mi e’ stato detto che poteva trattarsi si un pitone (Io non ne so niente, ma NON era un biscione d’acqua, ne ho gia’ visti e sono sicura che non lo fosse. Magari!). Il lieto fine e’ che non ho sviluppato nessuna fobia, e’ stato solo un brutto spavento. Sicuramente non l’avrei vissuta cosi’ male se non fossi stata da sola… con quale facilita’ ci facciamo scudo della sicurezza altrui! O anche solo della presenza di un altro essere umano.

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