Muang Ngoi (Laos), 1 maggio 2012
In questo tratto il fiume scorre ai piedi delle montagne, in un
canale sufficientemente stretto da dare la sensazione, ad ogni curva, di
un sipario che si apre al passaggio della barca. La barca e’ grossomodo
una canoa a motore, dobbiamo stare seduti quasi immobili per non
sbilanciarla; mi sembra ancora piu’ piccola e fragile, al centro di
questa sfilata di colossi rocciosi che ci sovrastano. Il paese lasciato
il giorno prima e’ sempre identico, ma ai miei occhi appare ora come una
metropoli. Percorro la via centrale (l’unica via) zoppicando sempre
piu’ vistosamente. Mi sembra passata una settimana dall’ultima volta che
sono stata qui. Eppure solo ieri mattina abbiamo attraversato in senso
opposto questo stesso paesino, siamo passati davanti a questi stessi
negozi e case, ma anziche’ girare a sinistra verso il porto, da dove
veniamo ora, abbiamo preso il sentiero che parte sulla destra e che
collega quattro villaggi persi sulle montagne. Due giorni di trekking,
piu’ il ritorno via fiume per chiudere il circuito. Tim, io e la foto
del percorso stilizzato trovato sul manifesto pubblicitario di
un’agenzia di trekking.
Il primo giorno e’ il piu’ faticoso, perche’ il sentiero prende quota arrampicandosi tra dossi verdeggianti e terreni bruciati dai contadini; il secondo giorno e’ il piu’ impegnativo, perche’ il sentiero non c’e’. O meglio, c’e’, ma ad un certo punto si confonde con altre mille stradine create dal passaggio di bufali d’acqua, per cui non si riesce piu’ a stabilire quale sia la via giusta (forse con una cartina vera…). Abbiamo camminato per circa 2km in un ruscello, dicendoci che, a rigor di logica, prima o poi sarebbe sfociato nel fiume ed essendo l’ultimo villaggio sul fiume, prima o poi saremmo arrivati almeno in prossimita’ del villaggio. Avanzando con l’acqua fresca alle ginocchia, ho finalmente trovato sollievo fisico dal dolore al tendine d’Achille che inspiegabilmente da qualche giorno mi tormenta; e soprattutto sollievo mentale dallo stress di dovermi continuamente staccare sanguisughe dai piedi… lo so solo io quanto ho rimpianto di non aver messo le scarpe chiuse.
Il primo giorno e’ il piu’ faticoso, perche’ il sentiero prende quota arrampicandosi tra dossi verdeggianti e terreni bruciati dai contadini; il secondo giorno e’ il piu’ impegnativo, perche’ il sentiero non c’e’. O meglio, c’e’, ma ad un certo punto si confonde con altre mille stradine create dal passaggio di bufali d’acqua, per cui non si riesce piu’ a stabilire quale sia la via giusta (forse con una cartina vera…). Abbiamo camminato per circa 2km in un ruscello, dicendoci che, a rigor di logica, prima o poi sarebbe sfociato nel fiume ed essendo l’ultimo villaggio sul fiume, prima o poi saremmo arrivati almeno in prossimita’ del villaggio. Avanzando con l’acqua fresca alle ginocchia, ho finalmente trovato sollievo fisico dal dolore al tendine d’Achille che inspiegabilmente da qualche giorno mi tormenta; e soprattutto sollievo mentale dallo stress di dovermi continuamente staccare sanguisughe dai piedi… lo so solo io quanto ho rimpianto di non aver messo le scarpe chiuse.
Al terzo villaggio, dove abbiamo pernottato, ci siamo arrivati poco
prima del tramonto. Una decina di case di legno e bamboo; cani, maiali,
mucche, galline e bambini scorrazzano sulla terra secca; c’e’ una
fontana che in seguito ho scoperto essere la fonte dell’acqua potabile e
la doccia. Mi piace questo genere di contraddizioni: la nudita’ e’ un
tabu’, per cui e’ bene che i vestiti non lascino il corpo troppo
scoperto… ma la doccia la si fa sulla pubblica piazza! O forse no, forse
c’e’ una profonda coerenza, dato che gli uomini si lavano in
pantaloncini e le donne in pareo. Lista delle esperienze 2012: fare la
doccia in pareo in piazza, spuntato. E vale doppio.
Non c’e’ stato bisogno di molte spiegazioni, non eravamo certo i primi escursionisti a passare di li’: ci e’ stato dato un posto per dormire e un pasto da mangiare. Abbiamo cenato in casa della signora che ha cucinato, circondati da un numero indefinito di figli e nipoti, incuriositi e attratti dai tatuaggi di Tim. Ho ripensato ad una ragazza svizzera incotrata qualche giorno prima a Nong Khiaw; ci raccontava di aver fatto un trekking con una guida organizzato da un’agenzia e ci consigliava l’esperienza “Attenzione pero’ a scegliere l’agenzia giusta!” diceva “Perche’ alcune vi dicono che si mangia con la gente del posto, ma poi arrivate li’ e vi trovate ad un tavolo separato! Allora mettete in chiaro subito: fatevi dire esattamente come si svolgeranno le cose nei villaggi, cosi’ se succede che loro mangiano ad un tavolo e voi a un altro, potete farlo presente…” Non posso fare a meno di immaginare la scena: “Come sarebbe a dire che questo e’ il mio posto? No, no e poi no! I patti erano chiari: mi avete garantito che ci sarebbe stato un indigeno seduto vicino a me! Ho pagato per un servizio e ora esigo cio’ che mi spetta, non intendo mangiare fino a quando non avro’ un selvaggio al mio tavolo!” …la gente e’ pazza…
La padrona di casa e’ una signora bassa e ciccionetta dai modi sgarbati, l’unica laotiana che abbia sentito gridare da quando sono qui. Non antipatica o scortese, anzi, una sorta di Zia Bisbetica (per chi ha visto Il Segreto del Nimh) premurosa nonostate le apparenze. Mi ha svegliata in piena notte urlando cose a me incomprensibili e toccando il mio pareo steso ad asciugare… Da fastidio qui? Devo spostarlo?… ma non c’era rimprovero nella sua voce; poi si e’ messa a indicare il buio e ruggire… Ci sono i leoni? Devo vestirmi e scappare?… ma il suo corpo non comunicava allarme; quando ha iniziato ad alternare i ruggiti al masticare a bocca larga, ho capito: ti conviene stendere il pareo piu’ in alto se non vuoi che le mucche vengano a mangiarlo nella notte. Ah! Grazie Zia Bisbetica! Non era difficile, era la relativita’ dell’onomatopea dei versi animali che mi fregava!
Il bello di dormire tra pareti di bamboo e’ che, se si ha la fortuna di essere in un punto da cui si vede l’alba, ci si sveglia circondati da questo:
Non c’e’ stato bisogno di molte spiegazioni, non eravamo certo i primi escursionisti a passare di li’: ci e’ stato dato un posto per dormire e un pasto da mangiare. Abbiamo cenato in casa della signora che ha cucinato, circondati da un numero indefinito di figli e nipoti, incuriositi e attratti dai tatuaggi di Tim. Ho ripensato ad una ragazza svizzera incotrata qualche giorno prima a Nong Khiaw; ci raccontava di aver fatto un trekking con una guida organizzato da un’agenzia e ci consigliava l’esperienza “Attenzione pero’ a scegliere l’agenzia giusta!” diceva “Perche’ alcune vi dicono che si mangia con la gente del posto, ma poi arrivate li’ e vi trovate ad un tavolo separato! Allora mettete in chiaro subito: fatevi dire esattamente come si svolgeranno le cose nei villaggi, cosi’ se succede che loro mangiano ad un tavolo e voi a un altro, potete farlo presente…” Non posso fare a meno di immaginare la scena: “Come sarebbe a dire che questo e’ il mio posto? No, no e poi no! I patti erano chiari: mi avete garantito che ci sarebbe stato un indigeno seduto vicino a me! Ho pagato per un servizio e ora esigo cio’ che mi spetta, non intendo mangiare fino a quando non avro’ un selvaggio al mio tavolo!” …la gente e’ pazza…
La padrona di casa e’ una signora bassa e ciccionetta dai modi sgarbati, l’unica laotiana che abbia sentito gridare da quando sono qui. Non antipatica o scortese, anzi, una sorta di Zia Bisbetica (per chi ha visto Il Segreto del Nimh) premurosa nonostate le apparenze. Mi ha svegliata in piena notte urlando cose a me incomprensibili e toccando il mio pareo steso ad asciugare… Da fastidio qui? Devo spostarlo?… ma non c’era rimprovero nella sua voce; poi si e’ messa a indicare il buio e ruggire… Ci sono i leoni? Devo vestirmi e scappare?… ma il suo corpo non comunicava allarme; quando ha iniziato ad alternare i ruggiti al masticare a bocca larga, ho capito: ti conviene stendere il pareo piu’ in alto se non vuoi che le mucche vengano a mangiarlo nella notte. Ah! Grazie Zia Bisbetica! Non era difficile, era la relativita’ dell’onomatopea dei versi animali che mi fregava!
Il bello di dormire tra pareti di bamboo e’ che, se si ha la fortuna di essere in un punto da cui si vede l’alba, ci si sveglia circondati da questo:
Mi manchera’ domani mattina, quando aprendo gli occhi vedro’ banali
pareti bianche. Ma ora non importa, ora voglio solo dormire. Fare una
doccia nuda e dormire.
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