Friday, June 1, 2012

'a livella



Pakse’ (Laos), 22 maggio 2012

Sono le sette di sera ed e’ gia’ buio. La strada e’ un rettilineo debolmente illuminato da lampioni distanti tra loro. Siamo ormai vicini alla citta’, non che si possa parlare di traffico, ma ci sono altri veicoli che circolano. Ha iniziato a piovigginare, fa freddo, ma non e’ cosi’ fastidioso da doversi fermare a cinque minuti da casa. O forse dieci: di solito anche Patrick guida a ritmo di Riders on the Storm, ma con la strada che inizia a bagnarsi ha rallentato ulteriormente. Patrick e’ un ragazzone grande e grosso, e’ molto piu’ alto di me, molto piu’ largo. Quando guida lui, mi copre completamente la visuale, per cui nel momento in cui molla l’acceleratore non ho idea di quale sia il motivo che l’ha spinto a farlo. E neanche me lo chiedo, sono altrove con il pensiero. Quando inizia a frenare, la mia attenzione si focalizza sulla sua guida, ma senza preoccupazioni: vorra’ far passare qualcuno che vuole immettersi. E’ solo quando realizzo che sta avanzando a passo d’uomo che mi viene il sospetto ci sia qualcosa davanti a noi. Cerco di sbirciare oltre la sua spalla destra, ma intravvedo solo forme indistinte. E’ questione di pochissimi secondi: Patrick avanza lentissimo tagliando in diagonale la strada, si sposta sulla corsia di sinistra per aggirare l’ostacolo e gradualmente mi diventa visibile quel che prima era nascosto dal suo corpo. Vedo un motorino a bordo strada, rovesciato a terra. Un incidente. Una frazione di secondo dopo vedo le gambe… oddio… dopo al vuoto, una mitragliata di pensieri simultanei: una persona a terra, nessuno accanto, far togliere Patrick da in mezzo alla strada, devo vedere… “Accosta, accosta li’!!” “Non possiamo fare niente!!” vedo il ventre… maglietta azzurra, niente sangue, le altre macchine, possono chiamare l’ambulanza… vedo il torace… maschio, non si muove, devo scendere, ma le altre macchine, bisogna fermarle, far mettere Patrick in mezzo alla strada “No, torna indietro e accendi le frecce!” “E’ morto, Nicole! E’ morto di sicuro!!”… solo a quel punto mi e’ visibile la testa. E’ completamente aperta, il cervello e’ sull’asfalto a brandelli… No, non devo scendere. Ha ragione, non serve a niente. Non serve proprio a niente. C’e’ solo il gelo mentre gli passiamo di fianco.
Patrick rientra nella corsia di destra e accosta. Davanti a noi c’e’ un camion fermo, le quattro frecce lampeggiano nel buio. Rimaniamo fermi dietro al camion, con il motore acceso e lo scooter in direzione di marcia, ma entrambi girati a guardare l’uomo. Ci interroghiamo sul da farsi, ma niente. Non possiamo fare niente. Ci sono alte persone, noi siamo gli ultimi a sapere cosa fare, chi chiamare. Potremmo andarcene, ma non riusciamo a muoverci, quasi significasse mancare di rispetto, quasi fosse disumano girare le spalle a quella scena e andar via come se niente fosse. C’e’ un uomo a terra al cento della corsia e le macchine e i motorini rallentano, lo aggirano e proseguono. Ha le braccia buttate a casaccio e la testa non e’ che un’anguria rotta. Un’anguria rotta con attaccato un corpo umano, illuminato dai fari di tutti i veicoli che lentamente gli sfilano accanto.
Due uomini sono in piedi poco distanti dal corpo. Un terzo sta mettendo dei rami sulla strada per segnalare l’incidente. Con una lentezza estenuante (ma a cosa servirebbe correre ormai?), qualcuno se ne sta occupando, avranno gia’ chiamato chi di dovere. Non saprei davvero cosa fare. Dovremmo andare. Si’, dovremmo andare. E non ci muoviamo. Non so per quanti minuti rimaniamo in silenzio sotto la pioggia. E nulla cambia di fronte ai nostri occhi: tre uomini in piedi, un ramo posato a pochi metri e la straziante processione dei fari che illuminano un corpo senza vita. “Dovremmo andare prima che vengano a chiederci qualcosa, a fare domande.” “Non possiamo fare niente, non avremmo niente da dire…” “Non lo so, la gente in Asia e’ strana, guidano senza un senso, vogliono sempre soldi, cercano sempre di fare soldi, anche nel sud della Thailandia…” domande, sud della Thailandia, soldi… e’ morto, Patrick, cosa c’entrano i soldi? E’ morto! Ma non gli dico niente, non e’ lui a parlare. “Vuoi che guidi io?” “No, ce la faccio, andiamo”. Grazie. Perche’ in realta’ e’ l’ultima cosa che voglio fare.
Non c’era indifferenza sulle facce delle persone che passavano, che non si pensi una cosa simile. Sarebbe stato del tutto inutile che ognuno si fermasse a bloccare la strada, mentre un numero sufficiente di persone se ne stava gia’ occupando. Nascondere o meno la morte alla vista e’ un fatto culturale, nulla di piu’, non e’ questione di cattiva volonta’ o cattiva gestione.
Non lo so quante persone ho visto morire, credo che nessuno dei miei colleghi tenga il conto. Non voglio parlare di abitudine o indifferenza o scudi, non me ne frega niente di generalizzare… ci sono situazioni e situazioni, cui seguono reazioni e reazioni. E in questa situazione, io sono caduta dal pero. Di faccia. Perche’ quel che ho visto non era piu’ un uomo, ma un animale morto sulla strada. Era sullo stesso identico piano del gatto investito, del rospo sull’asfalto con le interiora di fuori a cui si passa di fianco con dispiacere, ma senza fermarsi. Uguale. Siamo la stessa cosa. L’ho sempre saputo, ma l’ho visto solo ora e forse ancora devo accettarlo. Alla fine di tutto (LA fine di tutto), ai miei occhi la differenza tra un animale e un uomo la fa un lenzuolo bianco. Possibile che sia’ questo la dignita’?

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