Vietnam, piu’ precisamente Ho Chi Minh, ovvero Saigon. Mi e’ sempre
suonato come uno di quei posti dalla dubbia esistenza, come Timbuktu,
Samarcanda, Atlantide, Java (trova l’intruso)… Be’, Saigon esiste
davvero ed e’ una cittadona trafficata e rumorosa. Ma, a differenza di
Phnom Pehn, e’ invasa da un traffico che segue una logica a me
comprensibile. Cio’ non toglie che attraversare la stada dove non ci
sono semafori sia tutta un’avventura, comunque ce la si puo’ fare, non
devo piu’ macchiarmi di vergogna aspettando che attraversino altre
persone da usare come scudo umano. Il trucco e’ questo: fronteggiare il
fiume di motorini che ti vengono in contro come proiettili di un plotone
d’esecuzione e fare il primo passo. Poi il secondo. Poi il terzo e via
cosi’, sintonizzarsi su una volocita’ e mantenerla; a quel punto ci
pensano i motorini a calcolare tempi e distanze, si crea una sorta di
armonia di traiettorie grazie alla quale e’ possibile penetrare la
materia e superare illesi la barriera del traffico. Mai fermarsi, mai
correre, niente movimenti bruschi, ricorda: loro fiutano la tua paura.
Non avevo davvero alcun interesse nel visitare la citta’, ma dovendo sbrigare alcune commissioni, ho avuto modo di rimbalzare da un indirizzo a un altro, tra un’esigenza e l’altra… autobus, posta, esami del sangue, motorizzazione… adoro come l’intera citta’ si trasformi nel tabellone di un gioco di abilita’ quando non si capisce una sola parola nella lingua del posto. Mi piace vedere che alla fine si riesce a fare tutto ugualmente, solo con qualche tribolazione in piu’.
Non avevo davvero alcun interesse nel visitare la citta’, ma dovendo sbrigare alcune commissioni, ho avuto modo di rimbalzare da un indirizzo a un altro, tra un’esigenza e l’altra… autobus, posta, esami del sangue, motorizzazione… adoro come l’intera citta’ si trasformi nel tabellone di un gioco di abilita’ quando non si capisce una sola parola nella lingua del posto. Mi piace vedere che alla fine si riesce a fare tutto ugualmente, solo con qualche tribolazione in piu’.
Cambiando Paese, ogni volta per i primi due giorni sento di avere
delle enormi limitazioni mentali. Innanzitutto, come gia’ detto, per la
lingua, perche’ si riparte da zero, dal non riconoscere neanche una
parola. Poi per i soldi: e’ piuttosto facile, un euro sono
venticinquemila dong, ma il mio cervello, che tra le altre cose non sa
piu’ bene se ragionare in euro o in dollari americani, inizialmente si
rifiuta di fare il passaggio diretto e tenta di seguire complicatissime
strade secondarie… se un dollaro erano quattromila real e un euro e’ un
dollaro e venticinque centesimi circa e io devo pagare cinquantamila
dong allora in euro fanno… persa. Cinquanta diviso venticinque, Nicole:
due, sono due euro, e’ facile! Ma no, niente, inizio a divagare perche’
un euro erano quaranta bath oppure diecimila kip, quindi cinquantamila
diviso diecimila… nessuna speranza. Fortuna che dura poco.
Navigavo ancora in questo mare di incertezze e relativita’ matematica quando mi e’ capitato di essere derubata. Esatto: derubata! Ora, potrei scegliere di raccontare di aver avuto un coltello puntato alla gola, una pistola alla tempia, le spalle al muro in un vicolo cieco di un quartiere malfamato di notte… qualcosa cosi’, che mi facesse sembrare, non dico eroica, ma almeno una vittima indifesa. E invece no, a onor del vero, raccontero’ la realta’ e passero’ per la rincoglionita che sono. Le cose sono andate grossomodo cosi’: dopo un’interminabile caccia al tesoro, Martin ed io troviamo finalmente il pullman che dovrebbe portarci fuori da questa maledetta citta’, verso il delta del Mekong; arriviamo che il pullman sta per partire, facciamo appena in tempo a chiedere se sia quello giusto “Si’, si’, veloci che parte!” l’uomo ci aiuta a caricare gli zaini, quasi ci butta sul pullman che effettivamente stava gia’ chiudendo le porte, ci procura due sgabellini su cui sederci nel corridoio tra i sedili perche’ i posti sono gia’ tutti occupati, poi ci dice “Fanno xxx soldini” Martin apre il portafoglio e glieli da. Io ho come il vago sentore che sia una cifra esorbitante e allora, dato che sono furba, gli chiedo “Xxx soldini?? Caspita, e’ un po’ caruccio! Ma a testa o in totale?” “…mmm… a testa…” “Acciderbolina! Sono un sacco di soldi!” e a quel punto gli do anche la mia parte. Sempre perche’ sono furba. “Grazie signorina, ben gentile!” “O, prego buon uomo. Certo che e’ tantino pero’! Quanto sono xxx soldini? Vediamo, se un dollaro erano quattromila real e un euro e’ un dollaro e venticinque centesimi circa o diecimila kip, allora xxx soldini…” Si’, ciao! Persa di nuovo. Prima che mi renda conto che si tratta di venticinque dollari, cifra con cui potrei attraversare il Vietnam per lungo in pullman, il buon uomo e’ gia’ belle che sceso. E non perche’ abbia finito il turno, ma perche’ non era il bigliettaio! Ma almeno, il pullman era quello giusto? …NO!!!
Ah… mannaggia, quanto mi fa ridere adesso!! Un momento memorabile! Ma si’, per venticinque dollari… che se li goda! Che li usi per ubriacarsi, dato che questo mese sua moglie, sua figlia e le sue sette sorelle attraverseranno tutte contemporaneamente una fase di isteria premestruale potentissima… Che se li goda, brindando al karma!
Bene, anche questa e’ fatta. Prima o poi doveva capitarmi qualcosa del genere, ora non capitera’ piu’. Si impara dall’esperienza e sui mezzi di trasporto c’e’ da imparare un sacco.
Navigavo ancora in questo mare di incertezze e relativita’ matematica quando mi e’ capitato di essere derubata. Esatto: derubata! Ora, potrei scegliere di raccontare di aver avuto un coltello puntato alla gola, una pistola alla tempia, le spalle al muro in un vicolo cieco di un quartiere malfamato di notte… qualcosa cosi’, che mi facesse sembrare, non dico eroica, ma almeno una vittima indifesa. E invece no, a onor del vero, raccontero’ la realta’ e passero’ per la rincoglionita che sono. Le cose sono andate grossomodo cosi’: dopo un’interminabile caccia al tesoro, Martin ed io troviamo finalmente il pullman che dovrebbe portarci fuori da questa maledetta citta’, verso il delta del Mekong; arriviamo che il pullman sta per partire, facciamo appena in tempo a chiedere se sia quello giusto “Si’, si’, veloci che parte!” l’uomo ci aiuta a caricare gli zaini, quasi ci butta sul pullman che effettivamente stava gia’ chiudendo le porte, ci procura due sgabellini su cui sederci nel corridoio tra i sedili perche’ i posti sono gia’ tutti occupati, poi ci dice “Fanno xxx soldini” Martin apre il portafoglio e glieli da. Io ho come il vago sentore che sia una cifra esorbitante e allora, dato che sono furba, gli chiedo “Xxx soldini?? Caspita, e’ un po’ caruccio! Ma a testa o in totale?” “…mmm… a testa…” “Acciderbolina! Sono un sacco di soldi!” e a quel punto gli do anche la mia parte. Sempre perche’ sono furba. “Grazie signorina, ben gentile!” “O, prego buon uomo. Certo che e’ tantino pero’! Quanto sono xxx soldini? Vediamo, se un dollaro erano quattromila real e un euro e’ un dollaro e venticinque centesimi circa o diecimila kip, allora xxx soldini…” Si’, ciao! Persa di nuovo. Prima che mi renda conto che si tratta di venticinque dollari, cifra con cui potrei attraversare il Vietnam per lungo in pullman, il buon uomo e’ gia’ belle che sceso. E non perche’ abbia finito il turno, ma perche’ non era il bigliettaio! Ma almeno, il pullman era quello giusto? …NO!!!
Ah… mannaggia, quanto mi fa ridere adesso!! Un momento memorabile! Ma si’, per venticinque dollari… che se li goda! Che li usi per ubriacarsi, dato che questo mese sua moglie, sua figlia e le sue sette sorelle attraverseranno tutte contemporaneamente una fase di isteria premestruale potentissima… Che se li goda, brindando al karma!
Bene, anche questa e’ fatta. Prima o poi doveva capitarmi qualcosa del genere, ora non capitera’ piu’. Si impara dall’esperienza e sui mezzi di trasporto c’e’ da imparare un sacco.
Ad ogni modo, fermando il pullman sbagliato all’incrocio giusto e
procacciando due mototaxi, siamo arrivati sul delta del Mekong. E questo
solo perche’ l’avevo inserito nella lista dei desideri e propositi
2012, quindi dovevo andarci ad ogni costo. “Delta del Mekong” e’ un po’
vago: e’ in realta’ un’area molto ampia, non pensavo. E’ una zona in cui
il fiume diventa decine di fiumi. Superato un ponte ce n’e’ un altro,
poi un altro, poi un altro ancora. Colossi architettonici, ponti
normali, ponticelli piu’ incerti e sull’acqua case, mercati, pescatori,
ogni genere di trasporto… le attivita’ sul fiume si sprecano. Ho trovato
la stessa accoglienza sincera e disinteressata della Cambogia, sara’ la
vicinanza, lo stesso “May I help you?” sulla bocca di chi parla inglese
e nei gesti di chi non lo parla. Tra gli altri, abbiamo conosciuto un
signore che nonostante l’eta’ avanzata pedala avanti e indietro tutto il
giorno con con la sua bicitaxi. Davanti ad un caffe’ in un bar di My
Tho ci ha raccontato la citta’ cosi’ com’era durante la guerra e per una
mattinata quelle che ora sono case sul fiume, sono tornate ad essere
locali pieni di vita in cui giovani soldati americani si ritrovano a
bere con gli uomini del posto e a scatenare risse tra di loro per questa
o quella ragazza o per una partita persa… anche qui la storia e’
recente, eppure sembra lontana secoli.
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