Friday, August 31, 2012

Fuori dal guscio



Ulaanbaatar (Mongolia), 7 agosto 2012

Non si puo’ dire che Ulaan Baatar sia una bella citta’, ma mi ci trovo perfettamente a mio agio e questo conta piu’ dell’estetica. Mi trasmette un’accozzaglia di sensazioni diverse e mi porta a fare improbabili associazioni mentali… il grigiume che circondava l’aeroporto il giorno in cui sono arrivata mi ha fatto rivivere alcuni momenti del tardo autunno di casa; la colorata precarieta’ del distretto in cui mi sono trasferita dopo la prima notte ha risvegliato l’immaginario di una favela brasiliana (ger a parte); gli edifici ultramoderni del centro con le pareti di specchio che riflettono il cielo mi han fatto pensare a Dubai o a una qualche citta’ degli Emirati Arabi, solo che anziche’ le dune del deserto, qui, oltre la citta’, si intravvedono morbidissime colline.
Ecco, alla vista di quelle curve verdi mi sento come un pulcino chiuso nel guscio rotto dell’uovo che e’ questa citta’: da un piccolo spiraglio riesco a sbrciare fuori e io lo so, lo vedo, che appena oltre al guscio mi aspetta un mondo meraviglioso e ne sono fortemente attratta. Sono qui a due passi che brucio di impazienza, devo solo trovare il modo. Di uscire.
La possibilita’ che la citta’ offre con maggior insistenza e’ quella del tour organizzato, ma non la voglio pendere in considerazione. Sono contraria al “tutto compreso”. Sono contraria a pagare ad un’agenzia l’esperienza di dormire nelle ger dei nomadi: l’accoglienza non si compra, non funziona cosi’. Abbiamo davvero cosi’ paura dell’incontro con gli altri da doverlo mediare con un’agenzia? Vale la pena comprare la sicurezza se il prezzo da pagare e’ l’autenticita’? Per me no. La mia idea era quella di affittare una macchina per spostarsi in modo autonomo e trovare qualcuno con cui dividere la spesa. Cosi’, oggi ho passato la giornata a inviare mail chiedendo consigli e a leggere e appiccicare bigliettini sulle bacheche delle varie guest house alla ricerca di nuovi compagni di viaggio. E in poche ore, li ho trovati. Abbiamo fissato un appuntamento nel pomeriggio, al quale mi sono presentata piena di speranza. Avvicinandomi al gruppo di ragazzi che aspettava al luogo dell’incontro, ho iniziato a studiarli… un gruppo dal fenotipo eterogeneo, una manciata di caratteri marcatamente arabeggianti sparsi qua e la’, qualche paio di occhi turchesi sotto riccioli corvini… israeliani, ti prego, fa che siano israeliani… ho cercato la prova del nove: i sandali. E sandali sono. “Ciao! Israeliani?” “Si’:Alon, Assaf, Adi e Dor, piacere!” “Piacere: Nicole” “Francese?” “No, italiana”. Credono sempre tutti che sia francese. Anche i francesi.
Ecco, se c’e’ qualcuno piu’ Rambo dei Rambo sovietici, quelli sono gli israeliani. Solo in modo diverso.Ne ho conosciuti un sacco di israeliani e ho imparato a riconoscerli (dai sandali: mai visto uno in infradito, neppure in spiaggia!) e ad apprezzarli, li ammiro per la risolutezza e per il fatto che in generale non sono un popolo lamentoso. E se devo chiudermi in tenda con dei perfetti sconosciuti per quasi un mese, poche lamentele e piedi ben areati sono un buon punto di partenza a mio parere.
Abbiamo fatto le dovute presentazioni, guardato la cartina assieme e domattina partiamo. Wow. Le cose si sono sistemate con una rapidita’ tale che ho a malapena il tempo per comprare l’attrezzatura necessaria. L’effcienza del destino e’ sbalorditiva.

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