Western Mongolia, 8–29 agosto 2012
Da qua in poi ho perso la cognizione dello spazio e del tempo. Nei
prossimi post i luoghi non avranno un nome, gli attimi non avranno date,
le foto saranno piu’ a casaccio del solito. Quel che e’ successo, per
dare un’idea generale, e’ che siamo partiti per tre settimane con un
minivan, un autista, le tende e tanto, tantissimo cibo per raggiungere
Olgii, una cittadina all’estremo ovest della Mongolia. Olgii e’ in
questo viaggio meta e punto di partenza: e’ la fine di una corsa su
quattro ruote attraverso steppe sconfinate ed e’ l’inizio di un trekking
su due gambe su monti dell’Altai Tavan Bogd National Park (due gambe e
quattro zampe dovrei dire ora, dato che il trekking si e’ concluso con
un quinto giorno a cavallo).
E’ iniziata senza preliminari questa convivenza stretta con i miei
nuovi coinquilini da viaggio. La comitiva questa volta e’ composta da un
minivan russo, un autista mongolo, un’italiana e quattro israeliani:
Alon, Adi, Assaf e Dor.
Alon e’ i piu’ giovane di tutti, fresco di servizio
militare. Zohan, come l’ho soprannominato io, sorride sempre, anche
quando dorme, e parla nel sonno; lo so perche’ e’ il mio compagno di
tenda: dividiamo una tenda minuscola in cui stiamo a malapena lui, io e
il suo coltello con lama da quindici centimetri e custodia intagliata
in osso di renna. Dorme rigorosamete dal lato della porta e la chiude
con un lucchetto di cui inizialmente non mi ha comunicato il codice, per
cui al mattino dovevo svegliarlo per riottenere la custodia di me
stessa. E’ una presenza abbastanza ingombrante; non che sia goffo o
maldestro, ma e’ come se avessero installato il sistema operativo di un
gatto nel corpo di un terranova: ti si appoggia addosso senza rendersi
conto di avere il peso specifico della ghisa, se e’ nei paraggi sono da
evitarsi attivita’ potenzialemte mortali come usare uno stuzzicadenti,
tagliarsi le unghie o avere le tette, perche’ e’ inevitabile che arrivi
una gomitata.
Adi e’ una ragazza allegra e spontanea, ha un carattere forte ben
amalgamato con la dolcezza che le si legge in viso. Per dire, anche lei
ha un coltello con lama di lunghezza imbarazzante, ma in una tenerissima
costodia in plastica rosa. E’ molto bella, di quella bellezza
magnetica e dinamica data dall’espressivita’ piu’ che dai lineamenti.
Assaf inizialmente mi era un po’ insipido, poi e’ diventato il mio
preferito, come mi capita quasi sempre. E’ lievemente ipocondriaco, mi
chiede cose del tipo “Nicole, ho bisogno di una diagnosi…” “Oh per
carita’! Sentiamo” “Quando deglutisco sento un leggero fastidio a questa
altezza della gola sulla parte destra, e’ iniziato questa notte alle
quattro, cosa puo’ essere?” “Mah, lasciami pensare… niente?” Per giorni
sono stata convinta che sua madre fosse lesbica, poi ho capito che fa
confusione con il genitivo sassone, per cui per “my mother’s girlfriend”
intende la madre della sua ragazza.
Dor ha uno sguardo fiero e sembra mantenere sempre compostezza e un
certo distacco dalle cose, da tutte le cose. Ne rispetto
l’inafferrabilita’ e non mi avvicino piu’ di quanto mi sia concesso
avvicinarmi.
E poi c’e’ lui, l’unico, l’insostituibile, il magico Don: il nostro
autista, che parla solo mongolo, ma ci capiamo ugualmente a gesti e
versi. Piu’ o meno. Don ha i guancioni rossi e gli occhietti spenti che
scompaiono in due fossette quando sorride. E’ pacato come un panda, ma
quando si mette al volante si trasforma in una specie di tarantolato, il
che’ gli ha fatto guadagnare il titolo di “na ag sciodig”, ovvero
l’autista da rapina, quello che aspetta fuori col motore acceso e poi da
gas per scappare a colpo fatto. Ogni tanto esce dalle piste e lancia il
minivan in una corsa pazza nei prati, cosi’, senza apparente motivo;
probabilmente perche’ si diverte. Ogni tanto invece si ferma, apre il
vano motore, ci infila le mani dentro, scende, controlla la ruota
posteriore sinistra e poi riparte. Un giorno, in un momento in cui
sembrava aver perso completamente l’orientamento, si e’ fermato tre
volte a far pipi’ nell’arco di venti minuti e, non vorrei dire, ma
secondo me stava marcando il territorio… insomma, e’ strano Don, ma come
si fa a non voler bene a uno che ha la faccia cosi’ grossa? Ogni volta
che non lo capiamo gli diamo l’ok e ci lasciamo guidare, al grido di “in
Don we trust”.
E poi ci sono io, che ho la maglietta con un miniva uguale al nostro minivan, per cui vinco (Si’ Luca, e’ proprio lei, lo so, era per mio fratello, ma a lui non stava, giuro, per questo l’ho tenuta io!)
Insomma, siamo una negra, quattro ebrei e un comunista (dai, pinzato tra la Russia e la Cina, avra’ pur qualche traccia di comunismo pure lui, anche solo per osmosi)… ogni volta che ci penso sento rumore di baffetti che si rivoltano nella tomba…
E poi ci sono io, che ho la maglietta con un miniva uguale al nostro minivan, per cui vinco (Si’ Luca, e’ proprio lei, lo so, era per mio fratello, ma a lui non stava, giuro, per questo l’ho tenuta io!)
Insomma, siamo una negra, quattro ebrei e un comunista (dai, pinzato tra la Russia e la Cina, avra’ pur qualche traccia di comunismo pure lui, anche solo per osmosi)… ogni volta che ci penso sento rumore di baffetti che si rivoltano nella tomba…
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