Western Mongolia, 8-29 agosto 2012
Appena fuori da Ulaan Baatar si trovano i dorsi di morbidissime
colline verdi ad avvolgere chi percorre lo stradone nord. Il cielo,
azzurrissimo, pare estremamente piu’ basso di quello a cui sono abituati
i miei occhi: le nuvole sembrano lasciarsi trascinare dal vento a poche
decine di metri da terra e proiettano sull’erba le ombre mutevoli dei
loro pancioni.
Con il passare dei chilometri, il paesaggio impercettibilmente muta:
le colline perdono gradualmente la loro morbidezza, assumendo forme piu’
rigide e, soprattutto, si allontanano. Lo spazio attorno a se’ si fa
sempre piu’ ampio e nonostante le colline siano ancora troppo acerbe per
poter essere chimate montagne, ci si sente come se si stesse osservando
il plastico di una catena montuosa. Questo non mi riesce di spiegarlo.
Il punto e’ che si ha una percezione alterata delle proporzioni,
contemporaneamente la sensazione di essere piccolissimi in qualcosa di
immenso e quella di poter coglierne l’immensita’ come se la si stesse
osservando dall’alto.
Altri chilometri, altri cambiamenti: ogni sorta di promontorio sembra
essersi dileguato all’orizzonte correndo via come un branco di animali
impauriti. Dev’essere successo improvvisamente, in un mio attimo di
distrazione. Non saprei risalire al momento in cui hanno iniziato a
scomparire: ad un certo punto mi sono accorta che le montagne avevano
lasciato il posto ad un pavimento di terreno secco del quale non si
riescono a vedere i limiti, se non in qualche raro punto in cui si
intravvedono lievi pennellate di colore tenue all’orizzonte. Sono
nascoste li’ le montagne.
Questa mattina, quando sono tornata alle tende, ho trovato gli altri
finalmente svegli a prepararsi per il nuovo giorno facendo colazione,
arrontolando materassini e chiudendo zaini. Mi hanno chiesto dove fossi
stata, ridendo mi han detto che pensavano fossi scappata… la verita’ e’
che non sono stata da nessuna parte, sono solo stata un attimo da sola.
Il bello di questo piattume vitualmente infinito di erbetta rasa, terra secca e ghiaietta in cui non ci sono ostacoli o imperfezioni dietro cui nascondersi –non un albero, non una roccia, non un cespuglio- il bello, dicevo, e’ che se uno si allontana dagli altri camminando per un po’ in una quasiasi direzione e poi si sdraia, per il resto del mondo, semplicemente, sparisce. E quel che e’ ancora piu’ meraviglioso e’ che in questo orizzonte quasi illimitato in cui i punti cardinali perdono ogni significato e le uniche indicazioni spaziali percettibili rimangono l’alto e il basso, quel che e’ ancora piu’ meraviglioso e’ che, una volta sdraiati, se si rivolge la faccia verso “l’alto”, allora anche il resto del mondo sparisce. Non resta che un intensissimo, purissimo ed infinito azzurro.
Il bello di questo piattume vitualmente infinito di erbetta rasa, terra secca e ghiaietta in cui non ci sono ostacoli o imperfezioni dietro cui nascondersi –non un albero, non una roccia, non un cespuglio- il bello, dicevo, e’ che se uno si allontana dagli altri camminando per un po’ in una quasiasi direzione e poi si sdraia, per il resto del mondo, semplicemente, sparisce. E quel che e’ ancora piu’ meraviglioso e’ che in questo orizzonte quasi illimitato in cui i punti cardinali perdono ogni significato e le uniche indicazioni spaziali percettibili rimangono l’alto e il basso, quel che e’ ancora piu’ meraviglioso e’ che, una volta sdraiati, se si rivolge la faccia verso “l’alto”, allora anche il resto del mondo sparisce. Non resta che un intensissimo, purissimo ed infinito azzurro.
No comments:
Post a Comment