Ma io scherzavo! Riguardo al comitato di benvenuto, scherzavo!
Atterrata all’aeroporto di Ulaanbaatar, sono andata a prendere il pullman per il centro citta’, nonostante un’elegante signorina dietro al bancone “informazioni turistiche” mi avesse sviolinato la comodita’ del taxi. Taxi: 29 euro. Pullman: 30 centesimi. Signorina, grazie per la cartina omaggio, ma credo che prendero’ il pullman.
Arrivata quasi alla fermata, fiera di me per averla trovata, un signore accosta con un fuoristrada e mi offre un passaggio “Dove vai?” “In centro” “Ti porto io, che devo praticare un po’ di inglese!” stai scherzando?? Sono qui che mi do pacche sulla spalla da sola per congratulami di aver trovato la fermata, arrivi tu trullo trullo e mi cambi i programmi a pochi metri dalla vittoria… non se ne parla! “Vorrei prendere l’autobus…” “Ma sto andando in centro, ti ci posso portare, davvero!” “Grazie… e’ che vorrei proprio prendere l’autobus!” “Up to you!” up to me e sono in autobus.
Non ho idea di dove scendere perche’ sulla cartina della signorina i nomi delle vie sono egregiamente tradotti in inglese, peccato che nella vita vera siano scritti in cirillico! Arrivata in un punto che mi da la sensazione di essere il centro, scendo e mi infilo in un ristorante con l’intenzione di farmi dire da qualcuno di fronte ad un bel piatto di chissa’ cosa dove diavolo sono. Dalla coda di fronte alla cassa salta fuori un signore mongolo che parlucchia inglese e mi aiuta ad ordinare, anzi, mi aiuta a scegliere e poi ordina lui. E mi offre pure il pranzo. Mangiamo assieme, e’ una compagnia allegra e piacevole, e’ stato un viaggiatore e ora e’ cantante per professione, mi racconta dei suoi viaggi tra cui Venezia, mi fa vedere le foto in cui lui e sua moglie sorridono in Piazza San Marco. Mi fa piacere ascoltarlo. Finito il pranzo, nel poco tempo che ha a disposizione, si offre di aiutarmi a cercare un hotel, indirizzandomi verso quelli piu’ a buon prezzo. Caspita, grazie! Arrivati di fronte al bancone della reception scopro pero’ che non abbiamo lo stesso metro di misura: se venti dollari per lui e’ un buon prezzo, per me e’ assolutamente eccessivo. “Grazie, ma e’ troppo caro!” “Non ti preoccupare!” “Non mi preoccupo, e’ solo che per me e’ troppo caro…” “Non ci pensare!” Come non ci pensare? “Un amico e’ un amico” mi dice. Capisco, l’hotel e’ di un tuo amico, ma rimane il fatto che per me e’ troppo caro! Davvero, grazie e scusa per il disturbo, ma cerchero’ una guest house piu’ alla buona. Insisto. Insiste, sempre sorridendo, sempre sprizzando allegria. Alla fine mi dice “Ascolta, io non so il tuo nome, ma le persone sono tutte uguali. Sei qui da sola, non conosci la lingua e sono sicuro che se fossimo in Italia tu faresti lo stesso per me” tira fuori il portafoglio, paga lui, poi se ne va frettolosamente spiegando che deve andare a cantare, scusandosi di non potersi trattenere oltre, ma e’ in ritardo per le prove. Riesco a chiedergli il numero di telefono al volo, lui mi dice ancora “Cosi’ se hai bisogno di qualcosa mi chiami, ok?” Ma no, volevo usarlo per ringraziarti! Se ne va e io rimango piantata di fronte al bancone incredula. Mannaggia all’inglese e la sua assenza di genere: “l’amico” ero io.
Ha i capelli lunghi, una maglietta arancione e si fa chiamare BeatBat. Lo so, e’ un nome discutibile, ma se lo vedete in Italia apritegli al porta comunque come gliela aprirei io se fossi li’.
Atterrata all’aeroporto di Ulaanbaatar, sono andata a prendere il pullman per il centro citta’, nonostante un’elegante signorina dietro al bancone “informazioni turistiche” mi avesse sviolinato la comodita’ del taxi. Taxi: 29 euro. Pullman: 30 centesimi. Signorina, grazie per la cartina omaggio, ma credo che prendero’ il pullman.
Arrivata quasi alla fermata, fiera di me per averla trovata, un signore accosta con un fuoristrada e mi offre un passaggio “Dove vai?” “In centro” “Ti porto io, che devo praticare un po’ di inglese!” stai scherzando?? Sono qui che mi do pacche sulla spalla da sola per congratulami di aver trovato la fermata, arrivi tu trullo trullo e mi cambi i programmi a pochi metri dalla vittoria… non se ne parla! “Vorrei prendere l’autobus…” “Ma sto andando in centro, ti ci posso portare, davvero!” “Grazie… e’ che vorrei proprio prendere l’autobus!” “Up to you!” up to me e sono in autobus.
Non ho idea di dove scendere perche’ sulla cartina della signorina i nomi delle vie sono egregiamente tradotti in inglese, peccato che nella vita vera siano scritti in cirillico! Arrivata in un punto che mi da la sensazione di essere il centro, scendo e mi infilo in un ristorante con l’intenzione di farmi dire da qualcuno di fronte ad un bel piatto di chissa’ cosa dove diavolo sono. Dalla coda di fronte alla cassa salta fuori un signore mongolo che parlucchia inglese e mi aiuta ad ordinare, anzi, mi aiuta a scegliere e poi ordina lui. E mi offre pure il pranzo. Mangiamo assieme, e’ una compagnia allegra e piacevole, e’ stato un viaggiatore e ora e’ cantante per professione, mi racconta dei suoi viaggi tra cui Venezia, mi fa vedere le foto in cui lui e sua moglie sorridono in Piazza San Marco. Mi fa piacere ascoltarlo. Finito il pranzo, nel poco tempo che ha a disposizione, si offre di aiutarmi a cercare un hotel, indirizzandomi verso quelli piu’ a buon prezzo. Caspita, grazie! Arrivati di fronte al bancone della reception scopro pero’ che non abbiamo lo stesso metro di misura: se venti dollari per lui e’ un buon prezzo, per me e’ assolutamente eccessivo. “Grazie, ma e’ troppo caro!” “Non ti preoccupare!” “Non mi preoccupo, e’ solo che per me e’ troppo caro…” “Non ci pensare!” Come non ci pensare? “Un amico e’ un amico” mi dice. Capisco, l’hotel e’ di un tuo amico, ma rimane il fatto che per me e’ troppo caro! Davvero, grazie e scusa per il disturbo, ma cerchero’ una guest house piu’ alla buona. Insisto. Insiste, sempre sorridendo, sempre sprizzando allegria. Alla fine mi dice “Ascolta, io non so il tuo nome, ma le persone sono tutte uguali. Sei qui da sola, non conosci la lingua e sono sicuro che se fossimo in Italia tu faresti lo stesso per me” tira fuori il portafoglio, paga lui, poi se ne va frettolosamente spiegando che deve andare a cantare, scusandosi di non potersi trattenere oltre, ma e’ in ritardo per le prove. Riesco a chiedergli il numero di telefono al volo, lui mi dice ancora “Cosi’ se hai bisogno di qualcosa mi chiami, ok?” Ma no, volevo usarlo per ringraziarti! Se ne va e io rimango piantata di fronte al bancone incredula. Mannaggia all’inglese e la sua assenza di genere: “l’amico” ero io.
Ha i capelli lunghi, una maglietta arancione e si fa chiamare BeatBat. Lo so, e’ un nome discutibile, ma se lo vedete in Italia apritegli al porta comunque come gliela aprirei io se fossi li’.
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