Western Mongolia, 8-29 agosto 2012
Mi sono aggregata a questo gruppo all’ultimo minuto. Se inizialmente
mi sentivo in colpa per non aver partecipato al grosso dei preparativi e
alla spesa iniziale, ora ne sono piu’ che felice; perche’ io non avrei
mai comprato generi alimentari come sacchi d’uvetta, litri di succo di
limone, chili di farina… farina. Dai, come vi e’ venuta questa? State
per partire per tre settimane nel mezzo del nulla, a disposizione solo
due traballanti fornelletti da campeggio… la farina?? No, seriamente, a
chi e’ venuta l’idea? Tutte le mie perplessita’ pero’ evaporano quando
ci mettiamo a cucinare e lasciano il posto ad un enorme senso di
gratitudine verso chi per primo lancia l’idea migliore: “Oggi facciamo i
pancake per colazione?” Si’! Ti prego, si’, facciamoli!!
Mescolando incredulita’ e apprezzamento, con loro cucino e mangio
piatti che neanche a casa mi sarebbero mai venuti in mente; dai pancake e
il porridge con mirtilli, pesche e miele per colazione al riso con
mandorle, uvetta, mela e ananas, per non parlare di piatti tipicamente
israeliani come la chukchuca o la trina (una crema di sesamo)… e poi
mangiamo pasta. Tanta, tantissima pasta. Si’, perche’ dopo averli visti
versare una passata di pomodoro cruda su una pasta stracotta, mi sono
offerta di occuparmi interamente del sugo. E anche della pasta. Ho fatto
le cose per benino: soffritto di cipolla, zucchero per l’acidita’,
pizzichi di spezie a caso, fuoco lento, ho aspettato, mescolato,
aspettato… ne e’ uscito il massimo che poteva uscirne: un semplicissimo
sughetto al pomodoro senza infamia ne’ lode, a parere mio. Loro invece
sono impazziti: il miglior sugo al mondo! Il cibo degi Dei! Non cucini:
fai magie! Ma no… ecco… basta cuocerlo, insomma… Da li’ e’ nato il mito
dell’”italian quality”, che ha portato a due conseguenze. La prima e’
che consumiamo quintalate di pasta al sugo “Vi prego, oggi posso fare un
altro sugo? Abbiamo la verdura, abbiamo il tonno, potrei…” “No! Facci
la pasta al pomodoro alla Nicole.” ecco che la risolutezza israeliana mi
si rivolta contro. La seconda e’ che mi sono state affidate le
preparazioni piu’ noiose spacciandole per compiti di responsabilita’
patriottica: “Nicole, qui c’e’ la farina, sei stata scelta per fare
l’impasto” “L’impasto di cosa?? Cosa volete cucinare?” “Al resto ci
pensiamo noi, tu fai un impasto” “Si’, ma come? Che tipo di impasto?”
“Fallo come quello della pizza. Sei italiana, sara’ perfetto! In questo
momento rappresenti l’Italia intera”. Ma tanto loro che ne capiscono di
pasta di pizza? Non li ho delusi e con le mie palle di cicles di acqua e
farina ho tenuto alto il nome di Madre Patria.
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