Rishikesh (India), 29 novembre 2012
Rishikes e’ una cittadina nel nord dell’India, nello stato di
Uttarakhand. Incastrata sul fondo di una valle scavata dal Gange,
circondata da montagne e colline alla periferia dell’Himalaya e
costantemente battuta dal vento. Qui in questo periodo l’aria e’ fresca,
si prepara l’inveno, di giorno il sole scalda abbastanza da poter stare
sbracciati e cercar rifugio all’ombra, ma la sera si tira fuori la
giacca e la notte si apprezza il peso delle coperte. Il posto in se’ non
e’ di una bellezza eccezionale: vicoli e stradine nella parte bassa e
orrendi hotel in forma di mostri architettonici di cemento che si
arrampicano piu’ in alto, lungo i fianchi delle montagne. Anche qui i
clacson ululano felici e in paese tira aria di sovraffollamento, ma il
tutto e’ sufficientemente contenuto e nel complesso l’atmosfera e’
relativamente tranquilla; tra i profili delle montagne alberate e lo
scorrere pacato delle acque sacre ha trovato terra fertile una fprte
spiritualita’ e, tra centri di yoga e di meditazione, oggi Rishikesh e’
proclamata -o si autoproclama- capitale mondiale dello yoga. Ma dove
sboccia il fiore della spiritualita’ potra’ mica appassire quello della
sua commercializzazione: a Rishikesh il sacro convive pacificamente con
un profano che sfiora la blafemmia; puoi fare rafting sul Gange con
l’agenzia Holy Adventures!, puoi ottenere sconti comitiva per esser
guidato in esperienze mistiche come la regressione alla vita precedente…
vuoi imparare ad annullare il tuo io nel silenzio della meditazione?
Puoi farlo. Vuoi invocare la benevolenza degli Dei o purificarti l’anima
dedicandoti a spettacolari riti religiosi? Puoi farlo. Vuoi comprare
un’anima pulita? Vuoi comprare un’anima sporca e poi pulirla? Puoi
farlo. Vale tutto. E nulla toglie autenticita’ a cio’ che di autentico
c’e’ e che non e’ certo poco.
Non so come sia nata la cosa, ma in questo misticismo generale ho
iniziato a scherzare con Martin sul fatto che avremmo dovuto farci
leggere la mano e, capitando di fronte al centro di un astrologo, piu’
per divertimento che per altro, ci siamo detti, perche’ no? e siamo
entrati. “Namaste!” “Namaste! Posso esservi utile?” “…vorremmo farci
leggere la mano… forse lei…” “Si’, e’ possibile. Se sapete la data e
l’ora di nascita posso associare alla semplice lettura del palmo un
confronto con l’oroscopo e investigare tramite l’energia astrale… bla
bla bla… per indovinare quale sia la vostra pietra protettrice affinche’
sia favorita l’apertura dei sette chakra… bla bla… dunque se siete
interessati possiamo iniziare la seduta anche subito. Di dove siete?”
“Lui californiano, io italiana” “Ah, Italia! Vicino all’Argentina!”
ecco, iniziamo malissimo “…magari proprio subito no… le faremo sapere…”
“Come preferite, vi lascio il mio biglietto da visita” “Grazie… grazie…
nel caso la chiamiamo…” morta li’ la questione. Ma il giorno successivo,
mentre camminavamo sulle sponde del fiume per andare ad assistere al
Ganga Puja, la questione e’ tornata improvvisamente in vita e abbiamo
chiesto impulsivamente al primo negoziante capitato a tiro se conoscesse
un astrologo. “Seguitemi!” ha attraversato la strada, siamo entrati in
un cortile interno, saliti al primo piano di un edificio dalle mura in
cemento nudo, arrivati su una balconata su cui si affaccia una fila di
porte numerate che suggeriscono si tratti di una sorta di albergo.
“Stanza numero otto, entrate pure, vado a chiamarlo”.
Sulla porta numero otto un adesivo rosso scolorito dal tempo e
appiccicato senza troppa cura porta la scritta Mr TalDeiTali, astrologo;
la apriamo e siamo in una stanza completamente spoglia. Non ci sono
finestre, non c’e’ alcun oggetto che suggerisca sia abitata da qualcuno,
ci sono solo un letto matrimoniale contro una parete unta e una sedia.
Ci sediamo e aspettiamo scambiandoci sguardi di perplessita’. Ma dove
diavolo siamo?? L’astrologo arriva dopo diversi minuti con una valigia
nera; ha una parlantina piacevole, ci spiega che era a fare delle
commissioni, ci chiede cosa vogliamo, tira fuori dalla valigia un’enorme
lente d’ingrandimento e con quella inizia ad analizzarci il palmo della
mano in silenzio, piegando dita, schiacciando polpastrelli e
soprattutto facendo delle faccine che lasciano trapelare stupore o
dubbio o interesse ma che inevitabilmente vengono interpretate come
preoccupazione e in testa prende forma l’idea che stia per chiederti
“sicura che non vuoi usare il mio telefono per chiamar tua madre e dirle
che le vuoi bene prima che sia troppo tardi?” o come nelle barzellette
“Ti restano all’incirca cinque… quattro, tre, due, uno…”. E invece no,
nessuna prognosi infausta. Per quanto mi riguarda le cose piu’ rilevanti
sono che a ventott’anni saro’ famosa nella mia citta’ per qualcosa di
artistico, che dovrei meditare con la luna piena e, soprattutto, che ho
le dita lunghe. Ah, ho anche un potere divino.
Usciamo dalla stanza dell’astrologo giusto in tempo per correre alla
statua di Shiva ed assistere al Ganaga Puja: al crepuscolo piccoli
cestini galleggianti di fiori colorati con al centro una candela accesa,
vengono posati sulle acque del fiume in omaggio al Gange e tra i canti
di preghiera decine di piccole luci si allontanano da riva e scivolano
lungo la corrente. C’e’ una piacevole atmostera di festa che trasmette
un senso di accoglienza: non ci si sente scomodi, non vengono dubbi su
cosa fare o non fare, se avvicinarsi o meno, se si e’ vestiti in modo
opportuno… e’ un rito aperto, libero e bello e si e’ semplicemente i
benvenuti a partecipare.
Quando la folla inizia a disperdersi la luna e’ gia’ visibile, la
guardo e mi rendo conto che sara’ piena a breve. Luna piena,
meditazione… perche’ no? E il giorno dopo eccoci a varcare le porte di
un Ashram per seguire il consiglio dell’astrologo.
Entriamo nel cortile, non c’e’ nessuno. Saliamo la scalinata e varchiamo la porta d’ingresso, nessuno. Imbocchiamo il corridoio prendendolo da sinistra, senza parlare, scambiandoci gli stessi sguadi perplessi di ieri: ma dove diavolo siamo, di nuovo?? Si tratta di un ampio corridoio circolare, non ci sono finestre, e’ tutto freddo e buio e silenzioso e in marmo bianco, c’e’ qualcosa di lugubre in tutto cio’; sulla parete di sinistra ci sono delle porte numerate, presumibilmente delle stanze; su quella di destra (che pare circondare una stanza tonda) ci sono delle porte sospese a circa due metri da terra, senza alcun tipo di accesso, non una scala, non una fune, nulla. Finiamo il corridoio e ci ritroviamo al punto di partenza piu’ incuriositi che mai ma senza aver incontrato anima viva. Usciamo e nel giardino ecco che compare un uomo vestito di bianco che ci sorride “Namaste!” “Namaste! Come posso aiutarvi?” “…volevamo provare una seduta di meditazione…”
Entriamo nel cortile, non c’e’ nessuno. Saliamo la scalinata e varchiamo la porta d’ingresso, nessuno. Imbocchiamo il corridoio prendendolo da sinistra, senza parlare, scambiandoci gli stessi sguadi perplessi di ieri: ma dove diavolo siamo, di nuovo?? Si tratta di un ampio corridoio circolare, non ci sono finestre, e’ tutto freddo e buio e silenzioso e in marmo bianco, c’e’ qualcosa di lugubre in tutto cio’; sulla parete di sinistra ci sono delle porte numerate, presumibilmente delle stanze; su quella di destra (che pare circondare una stanza tonda) ci sono delle porte sospese a circa due metri da terra, senza alcun tipo di accesso, non una scala, non una fune, nulla. Finiamo il corridoio e ci ritroviamo al punto di partenza piu’ incuriositi che mai ma senza aver incontrato anima viva. Usciamo e nel giardino ecco che compare un uomo vestito di bianco che ci sorride “Namaste!” “Namaste! Come posso aiutarvi?” “…volevamo provare una seduta di meditazione…”
detto fatto, poco dopo siamo seduti a terra in una stanza fredda,
l’omino vestito di bianco ci fa chiudere gli occhi e concentrare sulla
percezione del nostro corpo “Come si chiama questo corpo? Ogni sua
parte, anche la piu’ piccola ha un nome, sentitelo, osservatelo, ogni
sua parte ha un nome e una forma… ma chi e’ che lo sta osservando, chi
lo sta sentendo? Come si chiama? Non c’e’ nome. Non c’e’ forma…”
Lavoriamo su tre punti preliminari alla meditazione: imparare a sedersi,
imparare a respirare e imparare a rilassarsi. Che detto cosi’ sembra
facile. Be’, non lo e’. L’Omino Bianco ci guida con la voce nel cambiare
posizione, nel percepire, ascoltare e controllare il ritmo e la
meccanica del respiro, nell’assumere coscienza di ogni muscolo, dalla
testa ai piedi, e rilassarlo, dai piedi alla testa, e rilassarlo, dalla
testa ai piedi… parla lentamente, trascina le vocali, ripete ancora e
ancora e ancora… ci lascia tempo, ci lascia silenzio… e’ una cosa che
faccio quando non riesco ad addormentarmi, quella di cercare di
rilassare sistematicamente ogni muscolo e ogni volta mi stupisco di
quante parti del nostro corpo sono in tensione senza che noi ce ne
accorgiamo e di quanto sia difficile rilasciarle consapevolmente; questo
non e’ un esercizio nuovo per me, la differenza e’ che questa volta la
mente non accenna a seguire il corpo nella direzione del sonno. Eppure
piu’ di un’ora scivola via in un attimo e quando usciamo dall’Ashram ho
la sensazione di aver dormito un sonno profondo e ristoratore per almeno
sei ore. E sto profondamente bene. E’ una sensazione estremamente
piacevole.
Tornati a “casa” raccontiamo l’esperienza a uno dei ragazzi che
gestiscono la guest house e accenniamo al fatto che l’Omino Bianco ci ha
consigliato di fare dello yoga… “Io faccio yoga, se volete potete farlo
con me ogni mattina e sera sul tetto!” salta fuori lui. Perche’ no?
Proviamo anche questo! E di nuovo, mentre questo ragazzino con un
buffissimo inglese cerca di annodarci sul tetto della guest house di cui
siamo gli unici ospiti, tra le smorfie di dolore ecco il solito scambio
di sguardi: ma dove diavolo siamo, per l’ennesima volta?? “Don’t
falling down! Don’t falling down!” ci ripete il ragazzo, mentre pretende
che ci incastriamo un piede dietro la nuca mantenendo la schiena dritta
e senza perdere l’equilibrio.
Passano i giorni a Rishikesh e la perplessita’ svanisce, soffocata dal graduale abituarsi a questa nuova routine di esercizi lenti e silenziosi capitataci addosso un po’ per caso. Non credo che andro’ dicendo di aver imparato in India a mangiare quando ho fame e dormire quando ho sonno come raccontava il buon James, incontrato in Laos, ma ora lo capisco meglio e spero di riuscire a far tesoro di quanto imparato in questi giorni.
Passano i giorni a Rishikesh e la perplessita’ svanisce, soffocata dal graduale abituarsi a questa nuova routine di esercizi lenti e silenziosi capitataci addosso un po’ per caso. Non credo che andro’ dicendo di aver imparato in India a mangiare quando ho fame e dormire quando ho sonno come raccontava il buon James, incontrato in Laos, ma ora lo capisco meglio e spero di riuscire a far tesoro di quanto imparato in questi giorni.
No comments:
Post a Comment