Sunday, December 2, 2012

L'umanita' mi sta stretta



Jaiselmer (India), 15 novembre 2012

Centro, destra, centro, sinistra… ma perche’ la muove cosi’? Alla prossima a destra vado… centro, destra… ora! Scatto, ma qualcosa si muove a borda strada, la mucca si spaventa, si sposta verso destra, la coda incrostata di cacca perde il ritmo delle oscillazioni e io vedo sfumare i miei piani di superarla senza farmi toccare, ma non mi arrendo, balzo istintivamente verso centro strada dove un rikshaw mi arriva alle spalle suonando il clacson, mi ributto a sinistra superando la mucca, accelero per assicurami distanza dall’animale, un uomo fa capolino dall’interno di un negozio e inchiodo giusto in tempo per evitare il suo sputo, ma qualcuno mi urta da dietro e mi spinge a sinistra e… sciaf! Il piede affonda in una gigantesca busa. A pile of shit per dirla all’inglese, che mi piace perche’ suona proprio come “una pila di merda” e rende bene l’idea. 

A Dehli ho ritrovato Martin e assieme ci siamo mossi verso ovest. Gli spostamenti in treno sono stati estenuanti per la simultanea presenza di troppe anime in uno spazio troppo piccolo. Abbiamo provato l’alternativa del pullman, mezzo piu’ costoso ma, ci siamo detti, sicuramente meno affollato. Illusi. Anche quello si e’ riempito di gente, in piedi, sdraiata lungo il corridoio, seduta sui braccioli dei sedili, con i piedi sulla testiera dei sedili di fronte, con la testa fuori dal finestrino a vomitare, con la testa nel corridoio a vomitare, allora tutti ad aprire i finestrini per sopravvivere alla puzza, poi tutti a chiuderli per sopravvivere al freddo, poi aprirli di nuovo per la puzza… il viaggio notturno peggiore della mia vita, credo. Ad ogni modo, tra una disavventura e l’altra siamo giunti qui, nell’arido Rajasthan.



Ora ogni mattina mi lancio in questa corsa ad ostacoli in cui mucche e cani, motorini e rikshaw, passanti e mendicanti si contendono la strada stretta sottraendosi vicendevolmente lo scarso spazio vitale. A terra c’e’ immondizia, shifezze non meglio identificate, scatarrate, pile di merda, ci sono intere pareti usate come pisciatoi pubblici, c’e’ polvere, c’e’ vociare di gente e un assordante e continuo e insopportabile suonare il clacson. Ci sono quelli che lo tengono premuto costantemente, li senti avvicinarsi, peeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEEEEEEeeeeeeeeeeeeeeeee…. e allontanarsi. E ogni volta mi faccio violenza per trattenermi dal girarmi di scatto nel momento in cui mi passano a fianco e sferrare un calcio volante al conducente del motorino per vederlo volare a metri di distanza come nei migliori film d’azione. E’ dura anche resistere dal sollevare da terra alcuni autisti di rikshaw prendendoli per il colletto e urlar loro “Ti pare il caso??? Adesso lo cancelli!!! Immediatamente!!” perche’ la scritta che alcuni hanno dipinta a mano sul retro del veicolo e’ “Perfavore, suonare il clacson” Suonare il clacson???? Ma ti suonassero la faccia!!! E tutto questo non e’ nulla, tutto questo e’ solo lo sfondo; in questa processione l’azione vera e’ data dall’interazione con i negozianti, i truffatori e i veditori ambulanti.


La dinamica indiana della compravendita e’ un rito interessante. Supponiamo di dover comprare un oggetto X il cui prezzo, si sa per certo, e’ cinque generici soldi. In genere in Laos mi capitava cosi’: “Quanto costa X?” “Sei soldi” “…mmm… facciamo cinque?” “Ok”. In Thailandia e Cambogia si andava un po’ piu’ per le lunghe: “Quanto costa X?” “Otto soldi” “No, troppo” “Sette e mezzo” “Al massimo quattro” “No quattro no, sei e’ l’ultimo prezzo” “Quattro” “Vienimi in contro, possiamo fare cinque e mezzo” “Quattro e mezzo” “Cinque” “Ok, lo compro”. Nel nord del vietnam molti erano piu’ sbrigativi: “Quanto costa X?” “Ottantacinque soldi” “Cosa???” “Ottantacinque” “Ma se costa cinque dappertutto!” “Ottantacinque” chiusa la questione. E allora tanti saluti.

  

In India e’ tutto piu’ colorato, tutto piu’ speziato, spesso si parte con un baccagliamento spietato: “Hello madame! You look like indian! Which country? Oh! Italy! Ciao, nesun poblema, Milano, Roma, Sonia Gandhi… I speak italian, yo parla italiano poco poco. I have friends in Italy! What’s your good name? Nicole?? My favourite name!! And you have beautiful voice, so sweet…” poi si cerca di creare il setting adeguato “How much for X?” “X? Well, I also have different colour… come, have a look inside, come! Maybe you want some chai?” (il chai e’ un te speziato) “I’m ok, thank you… just tell me the price” e poi finalmente si arriva ad una fantasiosissima trattativa: “Ten” “Ten?? No, it’s too much…” “Ok, nine fifty” “Too much” “Ok, how much you want to give me?” “Five” “Five??” e scoppia a ridere “My friend, five not possible: this is good quality, rajasthani quality, best quality! Last price: eight” “Five” “Madame (e ride), eight is very best price! Ok, ok, let’s say seven, I give you Diwali price” Diwali e’ il capodanno indiano, il mio quarto capodanno dell’anno. Per l’occasione tutto e’ venduto a finti prezzi di favore “Let’s say five” “Madame, five is evening price, now we are morning: seven is morning price!” “What…? What are you talking about??? (e rido) I’m sorry, I can’t spend more than five. Sorry. Bye” ci si allontana di qualche passo… “Ok, Ok, come! Six: indian price” “No, five” “Ok, ok, ok” “Ok what? Five?” “Five fifty” “Five” “Ok madame, five! But only for you ‘cause you are first costumer. First costumer price for you!” Il mio nome e’ sempre il preferito di tutti, la mia voce e’ melodiosa e io sono di una bellezza accecante quando devo comprare qualcosa, ma soprattutto, sono sempre il primo cliente. Anche di sera. 


Cosi’, ogni mattina si parte con Hello madame! Buy something madame? What are you looking for madame? The ticket office is closed today, madame, but I can find you a ticket if you follow me to my agency, madame… e ogni tanto qualcuno ti si aggrappa al polso chiedendo qualcosa… non mi toccare, non mi toccare!!… I can give you Indian price, Diwali price, first costumer price… beautiful name, beautiful voice, you are beautiful… uno dietro l’altro, una mitragliata, tiro dritto distribuendo no a destra e a manca, cercando di schivare i troppi corpi che mi vengono contro, sempre piu’ irritata da tutto quel che mi circonda e che mi ruba piu’ attenzioni di quante io ne voglia dare. Sempre piu’ nervosa e tesa e pronta ad esplodere… trovo rifugio ogni mattina sul tetto-terrazza del ristorante in cui vego a fare colazione, dove di fronte ad un bicchiere di te alla menta posso godere di un po’ di tranquillita’ guardando Jaiselmer dall’alto.


Jaiselmer e’ una cittadina alle porte del deserto, case gialle dai tetti piatti con panni colorati stesi ad asciugare; cosi’ come Jodhpur, e’ chiaramente una citta’ su due livelli: quello della strada, fatto di vicoli sovraffollati e sporchi dove il flusso delle cose e’ tumultuoso e claustrofobico; e poi quello dei tetti, fatto di silenzio e tranquillita’, dove si ritrova un’intimita’ esposta al cielo eppure protetta dal resto del mondo: su una casa una madre lava il figlio in un catino, su un’altra un uomo vestito di bianco fa yoga, due donne stendono chiacchierando, un cameriere sistema i tavoli di un ristorante… il forte troneggia sulla citta’ i cui confini sfumano nell’aria opaca di polvere e inquinamento. Non e’ che non ci sia nessuno quassu’, non e’ che non arrivi alcun rumore dalla strada o che l’aria sia piu’ pulita… ma sicuramente e’ meglio che star di sotto. Che poi anche di sotto e’ cosi’ tanto il bello…
In Rajhastan abbiamo visitato bellissimi forti e palazzi da Mille e una Notte curati nei minimi dettagli, sospirato guardando dall’alto Jodhpur -la citta’ blu-, condiviso posti treno con donne dai sahari variopinti e uomini dal turbante colorato, ci siamo spostati in moto per raggiungere il deserto… 


Il bello e’ molto, ma dopo gli spazi immensi, il vuoto, il silenzio e la pace della Mongolia e dell’Himalaya, patisco enormemente la presenza di tutte queste persone ovunque. L’umanita’ mi sta stretta. Se dopo le prime ventiquattro ore l’India aveva risucchiato tutte le mie energie, dopo sole due settimane mi ha portata ad auspicare che l’estinzione della specie umana avvenga presto e in modo rapido. Mi ha portata a provare intensissimo fastidio, insofferenza, rabbia profonda… a allo tesso tempo ammirazione, affetto, divertimento e meraviglia.
In questo momento il briciolo d’India che ho visto e’ per me come un paziente confuso, iperattivo e in isolamento da contatto, ma il turno dura ventiquattr’ore e non arrivera’ mai nessuno a darti il cambio. E’ un paziente che richiede un’attenzione continua, che ti risucchia tutte le energie, anche quelle che pensavi di non avere, che ti fa arrabbiare, che ti fa provare frustazione perche’ devi rifare le stesse cose
innumerevoli volte solo per vedergliele disfare pochi minuti dopo, che ti fa sentire sporco perche’ tutto e’ contaminato, ma poi, quando senti di essere sull’orlo dell’esasperazione, spara l’ennesima assurdita’, quella piu’ grossa delle altre che pero’ va a toccare il tasto giusto e invece di farti esplodere ti fa arrendere e ti viene da ridere, ti rendi conto che in una situazione che non ha alcun senso, la cosa piu’ irragionevole e’ il tuo spazientirti.
Cosi’, nonostante tutto, quando riesco a guardarmi dall’esterno (quando un autista di rikshaw trova una scusa ridicola per cambiare il prezzo a destinazione raggiunta e io incrocio le braccia e gli dico che non scendero’ fino a quando non mi avra’ dato il mio resto, che non ho problemi a seguirlo tutto il giorno e lui ride e inizia a darmi una monetina alla volta sperando che ceda prima di lui… quando i proprietari della guest house ti sbattono fuori perche’ non hai comprato il loro camel safari, il tour organizzato nel deserto, e ti ritrovi improvvisamente per strada senza aver davvero capito come diavolo ci sei finito a vagare con lo zaino in spalle senza una sistemazione…) quando mi vedo dall’esterno, dicevo, mi viene da mettermi la mani nei capelli e ridere sconsolata di tutto; scopro di starmi affezionando a tutto cio’, so che ricordero’ col sorriso ogni viaggio in treno, compatiro’ la mia rabbia, forse addirittura trovero’ noioso qualunque altro posto e mi manchera’ questo affascinante disastro.
Ultimamente mi capita spesso di sognare a cartoni animati, che non so cosa voglia dire ma sicuramente qualcosa di significativo.

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