Monday, January 7, 2013

La mia Lonelyplanet

Jakarta (Indonesia), 25 dicembre 2012

 Se hai tempo e liberta’ di movimento, la cartina dell’Indonesia ti manda fuori di testa. Isole, isolette e puntini di terra sparpagliati qua e la’ come briciole di cracker su una tovaglia azzurra. Come si fa a non desiderare di vederle tutte? Di saltare dall’una all’altra con eleganti balzi da ballerina? Adesso, subito, andare dappertutto… No Nicole, resisti, che dappertutto non si puo’, non basta una vita. Non partire a caso, non far cazzate: aspetta che si sviluppi un’idea. Ok, temporeggio. Ed ecco che tutto succede.
Prima conosco Tony che, entusiasta di mostrare la propria citta’, mi carica sul suo motorino e mi presenta Jakarta, arricchisce le didascalie al museo nazionale, dove la gente va a godersi il fresco sedendosi e sdraiandosi a terra, mangiando e chiacchierando, e quasi ci si dimentica di essere in uno stanzone sotterraneo e ci si sente come ad un grande picnic su un prato il lunedi’ di Pasquetta.
Poi succede che mi fermo a chiacchierare per strada con un gruppo di persone e in mezzora Franck e Jeni, una coppia franco-indonesiana, mi invitano al villaggio natale di lei; Pamela, una ragazza newyorkese trasferitasi in Indonesia da diversi anni, riesce ad inculcalmi con un’abilita’ tipo Inception il desiderio di raggiungere un’isola in particolare; e Jhorgi, un ragazzo della mia eta’ meravigliosamente tamarro decide che deve scarrozzarmi in giro con la sua macchina nuova per farmi vedere Jakarta by night, cosi’ mi ritrovo a girare tra in grattacieli illuminati in un’auto con i lampeggianti blu, le casse nel bagagliaio che vibrano come tamburi e un piccolo schermo sul cruscotto su cui ragazze in bikini sculettano sulle note di Whistle dei Flo Rida. Jhorgi mi chiede mille volte se ho sete e se dico di si’, in un attimo mi ficca in mano una bottiglietta d’acqua. E se dico di no, in un attimo mi ficca in mano una bottiglietta d’acqua. Perche’ bere fa bene, mi dice. E le proteine fanno bene, e mi compra un sacchettino di piccole uova di uccello sode. E devi provare il cibo indonesiano, e compra e mi rifila qualunque cosa. “Indonesian good people!” mi dice “Are you glad?” “Well… yes… I suppose” “If you are glad, I am glad!” Grattacieli, lampeggianti blu, whistle baby, whistle baby.


Ma il mio preferito, il migliore di tutti, e’ Bobby. Artista e musicista per passione, Bobby fa il turno di notte nella guest house in cui sono ospite (non quella delle bestiole, l’ho cambiata!). Ho mandato all’aria il mio ritmo circadiano pur di rimanere qualche ora a disegnare con lui la notte e quando gli ho detto che vorrei andare a Flores, l’isola di cui e’ originario, gli si sono illuminati gli occhi e si e’ inciampato in una serie di “Davvero?? Davvero vuoi andarci? Oh, Flores e’… e’ cosi’… e poi la natura… e… no, devi vederla, devi vederla assolutamente!” mi ha offerto ospitalita’ da sua madre “Vive in una casa di bamboo, e’ semplice, ma se per te non e’ un problema puoi starci quanto vuoi”. Non ne abbiamo piu’ parlato, fino a pochi minuti prima che partissi: “Non mi sono dimenticato!” ha preso un pezzo di carta, ci ha scritto al centro un nome e una localita’ “Questo e’ il nome di mio fratello, se arrivi in paese chiedi di lui, lo conoscono tutti” poi, sull’angolo in alto a destra ha scritto “Questa e’ Nicole, viene dall’Italia. Se la incontri, servila” e ha firmato. E… non e’ bellissimo?? Saro’ scema io, ma lo trovo meraviglioso.



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