Vientiane (Laos), 15 maggio 2012
Faccio colazione, cerco una bici in affitto (di quelle con il cestino davanti, che e’ tanto comodo), banca, mercato, ufficio immigrazione per prolungare il visto… sbrigo tutte le mie commissioni piu’ velocemente del previsto. Ho appuntamento alle quattro davanti al museo nazionale con un ragazzo catalano che ho conosciuto ieri. Catalano, non spagnolo. E per loro si’ che la questione e’ seria, altro che i sardi e i bretoni! Mente rifletto sulle minoranze etniche incontrate sin ora (me compresa), pedalo verso il parco. Ho un buon libro e la giornata non e’ troppo calda, aspettero’ li’ che sia ora di andare all’appuntamento.
Mi siedo sull’erba all’ombra e poso di fianco a me gli occhiali da sole. Sto leggendo un libro emotivamente molto coinvolgente, so che in pochi secondi saro’ completamente assorbita dalla storia, per cui tiro fuori anche il cellulare in modo da avere l’ora sott’occhio. Sono gia’ persa tra racconti di guerra, quando un ragazzo viene a sedersi vicino a me. Troppo vicino per poterlo ignorare. Lo guardo, un po’ dispiacuta di dover interrompere la lettura; lui mi dice qualcosa in una lingua che non capisco. Gli sorrido e gli faccio cenno di no con la testa: non ho capito, gli dico in lao. Lui mi parla ancora. Mi concentro, ma niente. Scusa ma non capisco, gli dico di nuovo in lao. E lui continua a parlare. Mi sforzo, ma non riesco a cogliere nessuna parola. Nemmeno una! Non e’ possibile, mi dico, non sta parlando lao. Sollevo le mani, i palmi rivolti verso l’altro, no, gli dico di nuovo scuotendo la testa. Lui mi parla ancora, mi fa delle domande e le ripete con insistenza. Usa frasi lunghe, non mi aiuta con i gesti. Non ha nessuna intenzione di farsi capire, non gli interessa comunicare. Non mi sta dicendo niente di utile e non vuole niente da me, altrimenti si farebbe capire, penso voglia solo divertirsi. C’e’ arroganza nei suoi modi, non e’ aggressivo, ma mi impone la sua presenza in un atteggiamento intimidatorio che non mi piace e che riconosco come fortemente anomalo in questo Paese. Non e’ laotiano, penso, non puo’ essere laotiano. Forte della mia convinzione, mi indico e gli dico “Italy”, poi indico lui. “Vietnam”, mi risponde. Ci ho visto giusto. Spero che questo breve scambio comunicativo possa rompere la dinamica precedente, ma no: lui riprende a fare discorsi che io non posso capire. Avvicina l’avambraccio al mio, ha una carnagione molto chiara, tocca la sua pelle e alza un pollice, poi tocca la mia e lo abbassa. Bianco bello, nero brutto. E va be’, per lo meno ti sei spiegato! Non ci leggo razzismo, so che secondo i canoni di bellezza asiatici, la pelle piu’ e’ chiara e piu’ e’ apprezzata; sono abbastanza certa che non ci sia altro dietro il suo gesto, mi punzecchia su una questione estetica, nulla di piu’. Indico la mia pelle e alzo il pollice, poi indico la sua e lo tengo ugualmente alzato. Un altro ragazzo viene a sedersi dietro di noi; ora il primo mi parla e ogni tanto si gira verso l’amico e ride. Ride di me. L’amico gli sorride, ma non sembra condividere del tutto. Sbircio l’ora sul cellulare posato sull’erba tra me e il ragazzo. In altre circostanze probabilmente lo metterei via, ma sono sicura che non voglia rubarmelo. E anche fosse, non mi interessa nulla del mio cellulare, potrei infilarglielo in tasca e andarmene serenamente. Per cui non prendo nessuna precauzione, non voglio mostrarmi preoccupata per qualcosa, perche’ non ho motivo di esserlo. Si stanno solo divertendo, siamo alle elementari, mi hanno rubato il diario e se lo palleggiano per vedermi correre da una parte all’altra, ma non mi va di dar loro soddisfazioni: non mi arrabbio, non metto via il cellulare, non me ne vado. Prima o poi si stuferanno. Infatti l’amico si alza e se ne va. Si avvicina un terzo ragazzo, molto giovane, si siede sulla mia bicicletta e mi fa capire che vuole andare da qualche parte. Vai, cosa ti devo dire? Non credo gli serva realmente, ma non credo neppure voglia portarla via. Infatti dopo pochi minuti ritorna. Il primo ragazzo intanto si e’ messo i miei occhiali; sono rotti, gli dico, glielo faccio vedere. Lui li mette ugualmente, ora prende lui la mia bici, fa un giro nel parco e dopo pochi minuti torna pure lui. Mi rida’ gli occhiali e se ne va. Rimango di nuovo sola. Finalmente! Dimmi te se alla mia eta’ devo essere vittima di bullismo! Riapro il libro e ripredo a leggere, innervosita per il poco tempo che mi resta ormai. 15.30, devo andare. Apro il cestino della bici per metterci dentro le mie cose. La bottiglia! Non c’e’ piu’! Non ci credo, mi ha rubato una bottiglia d’acqua piena a meta’. Coglione, penso tra me e me. O forse lo dico anche. Va be’, andiamo dal catalano.
L’indomani, pedalando su una strada poco lontano dal parco, sento urlare “Italy!!”. Dall’altra parte della strada c’e’ il vietnamita che mi saluta. Ricambio il saluto continuando a pedalare. Poi mi fermo, faccio inversione e lo raggiungo. C’e’ un negozietto poco piu’ avanti, ce n’e’ uno ogni pochi metri. Gli faccio capire che sto andando li’ e che voglio che mi segua. Prendo una bottiglia d’acqua dal frigo, la stessa che avevo nel cestino della bici, gli indico il prezzo, indico lui, indico la negoziante che aspetta. Lui si mette a ridere e paga. Usciamo e ci salutiamo con la mano; “Italy!” mi dice ancora ridendo mentre si volta. Ridacchio anch’io. Giro la bici e me ne vado, con il mio piccolo trofeo.
Sento che saremmo diventati amici se l’avessi incontrato altre volte.
Aggiornamento anti-panico e autocritico 21 maggio:
Se avessi avvertito pericolo, me ne sarei andata! Ma ripeto, non era aggressivo e non era affatto una situazione “pericolosa”: un parco cittadino, in pieno giorno, circondati da altre persone che chiacchierano, passeggiano, sonnecchiano sull’erba a pochi metri da noi… era solo un volermi deridere, non so per quale motivo. Non c’e’ nulla di spaventoso in questo: fastidioso, al massimo umiliante, ma non spaventoso. Credo che nessuno si sarebbe allontanato per paura, al limite per il fastidio di un atteggiamento arrogante.
Averlo incontrato il giorno seguente, vedere come mi ha salutata e come ha accettato di darmela vinta ridendo, in realta’ mi ha fatto sentire in difetto: come se avessi preso troppo seriamente uno stupido dispetto, come se non fossi stata in grado di stare al gioco e avessi reagito ad uno scherzo offendendomi. La musona che anziche’ riderci su’ la prende come una sfida e rivuole la sua bottiglia. Mi giustifico dicendo che lo scherzo non era affatto divertente per me e allora altro che elementari, una parte di me si sente come all’asilo: “Ma ha cominciato lui!” …e tu continua, brava! E’ vero che ha cominciato lui (testarda, eh!), ma la mia e’ stata un’inutile risposta dettata dall’orgoglio, assolutamente ragione Fulvio! Non rischiosa in quella circostanza, semplicemente inutile e fine a se stessa. E va be’, cosi’ sono andate le cose.
Comunque, credo davvero che saremmo potuti diventare amici se non fosse finita li’, non lo dico per dire!
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