La spiegazione che segue e' molto noiosa. E' dedicata a chi si ostina a voler capire davvero cosa stia facendo qui. Io non la leggerei, poi fate voi...
Sfatiamo i miti, per tutti quelli che credono che l'Australia sia una miniera d'oro in cui appena scesi dall'aereo ti fan firmare contratti di lavoro e ti ricoprono di soldi mentre i canuri ti saltellano attorno. Innanzitutto non ci sono canguri in aeroporto e come in ogni altro posto al mondo, per trovare lavoro bisogna cercarlo.
Stando a quel che racconta la gente -quella che ci vive,
quella che è qui da decenni- qui a Melbourne per i migranti di passaggio il
mercato del lavoro negli ultimi anni ha lentamente iniziato a virare verso la
saturazione; ci sono ovviamente professioni ad alta, altissima richiesta:
ingegneri, medici e infermieri di ogni genere e sorta, elettricisti,
architetti, insegnanti di supporto... ma per tutti i giovanotti entrati in
Australia con il famoso visto working-holiday e tanta buona volontá ma nessuna
professione, le cose iniziano a farsi un pochino piú dure rispetto al passato,
fosse anche solo per il fatto che se nel 2006 sono stati quasi 115 mila ad ottenere
il visto, nel 2013 sono stati circa 250 mila.
Apro una parentesi per chi non
sapesse cos’é il working-holiday visa: si tratta di un visto della durata di un
anno che è possibile richiedere solo una volta nella e vita solo prima dei 30
anni; dá diritto a lavorare con contratti brevi (max 6 mesi con lo stesso
datore) e puó essere rinnovato solo una volta a patto che si siano fatti 88
giorni di lavoro nel settore agricolo.
Per tutti questi aitanti ventenni,
dicevo, le cose iniziano a farsi meno rosee di un tempo: la concorrenza è
aumentata, il lavoro nelle fattorie é duro, nella ristorazione sottopagano, per
fare le pulizie o servire alcoolici o maneggiare il cibo o lavorare con i
bambini vengon richiesti certificati e fedina penale e referenze, referenze per
qualunque cosa.
Per quanto riguarda gli infermieri, la richiesta è
altissima. L’unico problema per noi stranieri è ottenere la registrazione, per
la quale il tempo d’attesa minimo è di tre mesi, ma una volta ottenuta, previo
eventuale superamento di tutti i corsi e programmi necessari, trovare lavoro
non sembrerebbe essere complicato.
In ambito ospedaliero ci sono diverse tipologie di
contratto e modalitá di impiego per gli infermieri; a grandi linee distinguerei
quattro gruppi: gli infermieri degli ospedali, quelli delle banche, quelli
delle agenzie e quelli dei letti.
I primi sono quelli assunti direttamente dagli ospedali
pubblici o privati tramite colloquio (non concorso), hanno contratti full time
o par time, hanno normalissimi turni, non hanno reperibilitá. Cosa succede
dunque quando qualcuno non si presenta a lavoro? Lí intervengono gli infermieri
delle banche. Le banche sono delle riserve di “infermieri di suppleza” che
lavorano su chiamata per coprire i turni vacanti del personale ospedaliero.
Cosa succede se la banca non riesce a coprire un turno o se un ospedale non ha
una banca? Lí intervengono gli infermieri dell’agenzia, che funziona come la
banca ma è un servizio privato. Cosa c’entrano gli infermieri dei letti?
Assolutamente niente. Ma questo lo dovevo proprio raccontare: ci sono degli
infermieri che lavorano in uffici che io immagino al quarantesimo piano di
qualche grattacielo con le pareti lucide, di quelli che da fuori vedi solo
specchio ma da dentro vedi l’intera cittá a 360 gradi... loro si siedono alla
scrivania al mattino e guardano la gente lontana, formichine sui marciapiedi
ignare dei fili sulle loro teste... ecco loro, loro sono la mano che dirige
quei fili, loro sono il potere: loro sono quelli che organizzano gli spostamenti
dei pazienti da un reparto all’altro, da un ospedale all’altro. Lo so, lo so,
incredibile! Qui alla dimissione non c’è bisogno di chiamare la medicina
d’urgenza venti volte supplicandoli di darti un posto e peró loro stanno
aspettando un posto dalla chirurgia che aveva giá promesso due letti
all’ortopedia, che se la neuro si prende il signore del letto 5 allora loro gli
danno la ragazza del letto 23 che domani è dimissibile cosí per domani sera
hanno un letto vuoto ma non lo dicono a nessuno... no! Qua non c’è bisogno di
passare mazzette sottobanco per riuscire a fare una dimissione: basta inviare
il nome agli infermieri dei letti e loro si occupano di tutti gli incastri del
caso dall’alto delle loro torri d’avorio!
Ma torniamo a noi.
A noi infermieri oltreoceanici in attesa di registrazione e' consentito lavorare come Personal Care Assistant, una figura mitologica mai avvistata in Italia,
uno strano essere con la testa di oss, il corpo di badante e lo stipendio di
medico del 118, che mi è difficile equiparare a qualche nostra figura
professionale... provo ad anagrammare. Si prenda la figura dell’Operatore
Socio-Sanitario, altrimenti detto OSS; gli si tolga la prima S; si scomponga la
seconda S in due parti: quella del supporto nell’interazione con il resto
dell’equipe e quella dell’assistenza diretta alla persona; della prima metá se
ne occupa il PSA, Personal Service Assistant; della seconda metá se ne occupa
il PCA, Personal Care Assistant che é quello che faccio io.
Bisogna ancora distinguere tra il PCA all’interno delle
case di cura e quello all’interno degli ospedali; mentre nelle case di cura il
lavoro é un po’ pesante perché consiste prettamente nelle pratiche di igiene
personale al mattino a un gruppo di pazienti, negli ospedali i PCA d’agenzia
vengono chiamati per fare i cosiddetti special: assistenza dedicata a un solo
paziente.
I motivi per cui viene richiesto uno special sono vari:
problemi comportamentali, confusione, rischio di caduta, rischio di rimozione
dei presidi, cose del genere. Per intenderci, uno dei pazienti cerca di tirarsi
via il sondino? Chiamiamo uno special! Uno vuole in continuazione spostarsi dal
letto alla sedia, dalla sedia al letto, dal letto alla sedia per tutti i secoli
dei secoli? Chiamiamo uno special! Uno vuole fare le vasche nel corridoio del
reparto ma rischia di cappottarsi ogni due passi inciampandosi nel
deambulatore? O diventa nervoso e richiede continue attenzioni perché si sente
solo e in stanza non c’é nessuno su cui riversare la sua logorrea? Chiamiamo
uno special! Che sarei io. Eheh!
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