Monday, April 28, 2014

Frantumi


Melbourne (Australia), 17 Febbraio 2014

Una cosa che apprezzo molto di questo lavoro in ospedale è il fatto che ogni turno non sia altro che un incontro ravvicinato di ore con una persona random.  Essendo una che divora autobiografie di gente a caso per il puro gusto di vedere quali storie incredibili racconta ogni vita, ho davvero trovato pane per i miei denti.
Certo, non tutte le persone che assisto sono nelle condizioni di condividere esperienze di vita, ma quando capita l’interlocutore giusto, ascolto avidamente.



L’Australia ha un cuore antico, come ogni altro luogo al mondo. L’Australia ha anche un cuore recente, frutto di un trapianto forzato operato dagli inglesi a fine 1700. A quei tempi il consenso informato non era in voga, la libera scelta era un concetto lontano e le conoscenze riguardo i rischi del rigetto ancora scarse. Nonostante ció, il cuore nuovo ha iniziato a battere e quello vecchio, pur devastato dalla procedura, non è stato estirpato del tutto.
Il cuore nuovo dell’Australia è nato come inglese, ma è diventato presto un mischione delle nazionalitá piú disparate e la maggior parte degli australiani di oggi, ieri erano altro: erano persone ben radicate a casa loro che per necessitá, per scelta, per caso, sono venute a popolare questa terra e oggi si ritrovano a spalmare Vegemite sul pane imburrato. 

Proprio qui, in questo carnevale culturale, in queste stanze di ospedale, nonostante la moquette per terra, a volte risuona forte l’eco dell’Europa del dopoguerra, portato qui dalle onde dell’oceano piú di mezzo secolo fa.
La figlia di immigrati ungheresi, il soldato macedone, i molti italiani, i polacchi... la seconda guerra mondiale ha sparato via persone con la stessa violenza di un bicchiere che va in frantumi  cadendo e ho avuto la fortuna di ascoltare un po’ delle loro storie grazie a questo lavoro. Ne sono grata.

Sunday, April 27, 2014

Codice grigio



Melbourne (Australia), 12 Febbraio 2014

Inizio il turno di notte con un paziente in ossigeno terpia. Come spesso succede, percepisce la mascherina come un ostacolo alla respirazione piú che un aiuto, cosí, comprensibilmente, ogni tanto se la toglie, il monitor starnazza,  lui si agita e piú si agita peggio respira e peggio respira piú si agita... ma basta poco a convincerlo e dopo qualche boccata d’ossigeno si tranquillizza di nuovo. Nulla di ingestibile.
Succede ad un certo punto che riesce a stringere il tubicino dell’ossigeno in maniera tale che le mie manine non riescono a liberarlo dalle sue manone e non c’è verso di convincerlo o distrarlo, per cui ingenuamente suono il campanello per attirare l’attenzione dell’infermiere e chiedergli un aiuto. Non l’avessi mai fatto!
Da quel momento la situazione precipita: l’infermiere prima prova a convincerlo con calma per svariati minuti. Ma anche la Montalcini sarebbe poco avvezza al ragionamento se non stesse ricevendo abbastanza ossigeno, infatti il poverino è sempre piú confuso, sempre piú agitato, sempre piú aggressivo. Quando dico aggressivo non bisogna immaginarsi un ultras con una svastica tatuata sul petto, armato di ascia e fatto di cocaina, ma un signore sulla settantina con un camice di cotone bianco che dice ad alta voce “NO! NO! VATTENE!” ed estende le braccia nude col chiaro intento ti tenerci lontani, non di picchiarci. A quel punto, spinto da ragioni che ad ora mi sfuggono, l’infermiere lo fa: prende il dect che ha appeso ai pantaloni e chiama un Codice Grigio.




La politica interna di questo ospedale è quella di tutelare sia l’utenza che gli operatori, per cui ogni operatore (me compresa) ha con sè un dect e nel momento in cui si senta minacciato per qualunque motivo, deve chiamare il numero d’emergenza, comunicare la propria posizione e richiedere un Codice Grigio (o Nero se l’aggressore è armato). Subito in tutto l’ospedale risuona questo annuncio: PREGO, ATTENZIONE A TUTTO IL PERSONALE: CODICE GRIGIO IN CARDIOLOGIA STANZA 7. RIPETO, CODICE GRIGIO IN CARDIOLOGIA STANZA 7!
Lo sento spesso quando lavoro qui, tra l’altro ad un volume abbastanza fastidioso da tenermi sveglia assieme ai calcoli in colonna quando faccio le notti, e mi sono sempre chiesta cosa succeda di fatto... ecco, succede questo: l’infermiere prende il dect e chiama un Codice Grigio, anche con una certa solennitá. Poi mi guarda e mi dice “Stai indietro e porta le sedie fuori dalla stanza!” Eh?? Le sedie? A questo punto sono curiosa come una scimmia, porto fuori le sedie scalpitando, perché questi australiani mi riservano spesso grandi sorprese: cosa succede adesso? Cosa potrá mai succedere sta volta?? 
Succede che l’annuncio risuona dagli altoparlanti e subito inizia ad accorrere gente: prima uno o due infermieri del reparto poi uno o due medici, poi altri infermieri, poi due agenti della sicurezza con le spalle larghe e la faccia severa, poi altri medici, poi altra gente che non ho idea di chi sia... in sei tengono il paziente sul letto, altri gli rimettono la mascherina e il saturimetro, due dottoresse valutano il flusso di ossigeno che non necessita variazioni, qualcuno fa domande sull’accaduto e scrive scartoffie... io, sbalordita dal marasma provocato dal mio semplice suonare il campanello e non vedendo come potrei anche solo fingermi utile, mi metto in un angolo e conto: tredici. Siamo in tredici in stanza!!
Per un attimo mi viene il dubbio: forse è in corso un trapianto multiorgano e non me ne sono accorta. Eppure no, è proprio solo un normalissimo signore che non vuole tenere l’ossigeno perché é confuso!
Quando la situazione rientra sotto controllo (ovvero esattamente com’era prima ch’io chiedessi aiuto), la gente se ne va sorridendo, salutandosi e ringraziandosi a vicenda e mi lasciano sola nella notte a risistemare le sedie proprio come dopo ad una festa -della quale mi è sfuggito il senso-. 
Diciamo che è indubbiamente rassicurante sapere e vedere che l’organizzazione in cui si lavora ha davvero tra le prioritá quella di proteggerti e ed è sacrosanto che come operatori sanitari non si accetti di sentirsi minacciati fisicamente o verbalmente... ma, nel caso specifico (e a dire il vero in tutti quelli a cui ho assistito successivamente), a me tutta questa mobilitazione per una mascherina sembra un tantino eccessiva. Sará che dalle mie parti non ho visto sollevare tanto casino neanche la volta in cui uno ha telefonato dicendo di aver nascosto una bomba. E fortuna che non era vero!


Wednesday, April 16, 2014

How are you?


Melbourne, 11 Febbraio 2014

Gli australiani sono gentili. Gentili oltre misura. Gentili al punto che ogni tanto il mio cervello va in tilt. In generale apprezzo molto tutto questo gentilume, ma c’è questa storia dell’How are you? a cui proprio faccio fatica ad abituarmi. 
Anche noi chiediamo come va o come stai o com’è. Telefoniamo ad un amico e “Pronto? Ah, ciao! Come va?” incontriamo qualcuno che conosciamo e “Hey, ciao! Come va?”... alle volte lo si intende davvero e siamo pronti a sentirci dire “lascia perdere, un disasto: temo che stiano per licenziarmi e sostituirmi con una bertuccia che ha ottenuto un punteggio piú alto del mio al colloquio, son tre notti che non dormo dall’ansia”, altre volte è solo questione di forma e rispodiamo “Bene, tu?” anche se ci siamo appena ripresi dal secondo attacco di panico dell’ultima mezzora... tutto dipende dalla profonditá della relazione, che è ció che legittima la domanda stessa. 
Qui invece il come va è legato al saluto ed essere due umani in uno stesso luogo e tempo, rappresenta relazione sufficiente per il saluto e quindi per il come va. Sali sull’autobus e l’autista ti dice “Buongiorno, come stai?”. Entri in un negozio e il commesso ti chiede “Ciao, come va?”, cammini per strada e qualcuno ti ferma “Scusa, ciao, come va? Sai mica in che direzione è la stazione?” 


Ora sono abituata  e solo raramente l’how are you mi coglie ancora di sorpresa, ma all’inizio mi gettava regolarmente nel panico: salivo sull’autobus “Buongiorno!” e l’autista “Buongiorno, come stai?” come sto?  Perchè mi chiede come sto? Sta a vedere che lo conosco e non l’ho riconosciuto! No, non lo conosco. E cosa vuole? Perchè si sta informando sul mio stato psicofisico? Adesso devo rispondergli davvero?? Ma poi devo sedermi qui vicino cosí chiacchieriamo? E cosa vuole che gli dica? “Ehm...bene. Grazie. E tu?” “Buongiorno, come stai?” ce l’ha giá con quello dietro di me. 
Ma non si fermano lí! In banca mi è successo questo: “Buongiorno” “Buongiorno, come va?” non mi fregate piú! “Bene, grazie” “Cosa posso fare per lei?” “Avrei bisogno di questo e quest’altro” “Mi faccia controllare il suo conto...” scrive delle cose al computer e poi, di colpo, senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo “Come sta andando la giornata?” SBAM!! ma cos... ? ma perch... ? cosa vuol... ? avró capito male! “Come, prego?” “Come sta andando la tua giornata?” “Ehm... bene. Grazie. E la tua?” “Ecco qua la ricevuta. C’é altro che posso fare per lei?” 
Aaaaahhh!! Che fasidio! Sentirmi sballottata dentro e fuori da sfere relazionali che per me hanno margini e linguaggi diversamente definiti!
Ma c’è da dire una cosa: a paritá di sostanza, nel momento in cui si lavora con un pubblico, ci si interfaccia con un cliente, la forma fa la differenza. E’ mille volte meglio sentirsi dire “Cosa posso fare per lei?” o “Come posso aiutarla”anziché “Sí, mi dica” o “Cosa deve fare?”, mille volte meglio sentirsi chiedere come é andata la giornata piuttosto che farsi venire il mal di pancia ogni volta che ci si deve presentare di fronte ad uno sportello.