Kampot (Cambodia), 15 giugno 2012
La Cambogia ha qualcosa che mi ricorda l’Africa. Non riesco a
giustificare questa sensazione, ma e’ qualcosa di profondamente intenso e
indefinito, come un odore gia’ sentito. E’ un’impressione che mi arriva
a vampate nei momenti e nelle situazioni piu’ diverse: camminando lungo
i fossati pieni d’acqua putrida nella periferia di Phnom Penh;
attraversando questa campagna piatta e rigogliosa dove la terra esplode
di rosso ipersaturo quando si bagna, dove le strade tra i campi sono
ferite che si riaprono ad ogni pioggia; bevendo da un bicchiere di
plastica colorato seduta al tavolino di un chiosco a bordo strada;
guardando la luce; guardando la gente. Potra’ suonare assurdo, ma alcuni
uomini mi sembrano un po’ africani. Non dell’Africa nera, no di certo…
di una qualche isola in cui si siano mischiate per bene le carte della
genetica. Capoverdiani con i capelli lisci, gli occhi allungati e gli
zigomi larghi, qualcosa del genere… ok, e’ assurdo. La Cambogia e’ il
primo Paese asiatico in cui ho considerato belli dei ragazzi. Non molti
ma, insomma, spezziamola una lancia! Trovo invece che ci siano
moltissime donne di una bellezza degna di nota, le piu’ belle che abbia
visto da quando sono partita, piu’ delle tanto acclamate thailandesi,
secondo me.
Vale sempre la regola della casualita’degli incontri, ma se e’ vero
che esiste una sorta di carattere collettivo, la gente e’ in generale
molto espansiva in questo Paese. Moltissime persone parlano inglese e ad
un buon livello, per cui e’ possibile anche scherzare, non solo
esprimere bisogni basici. Gli stranieri sono un’opportunita’ per
praticare l’inglese e quando mi allontano dalla famiglia improvvisata
per soddisfare il mio bisogno di solitudine, finisco immancabilmente per
conoscere qualcuno. Qui a Kampot, davanti ad una tazza di te, ho
conosciuto Chin: un signore sulla cinquantina a cui ho proposto questo
scambio: facciamo colazione assieme per qualche giorno, io ti correggo
in inglese e tu mi insegni qualcosa in Khmer. E’ divertente. Intanto
perche’ lo Khmer ha dei suoni incredibili, tipo la sequenza setto otto
nove: pram pal pram bai pram bun. Ma soprattutto perche’ l’inglese di
Chin e’ ancora piuttosto incerto, per cui: “”Cos’e’ questo?” si dice “Ni
ta-auai?”” “E come si dice “Cos’hai detto?”” “”Ni ta-auai?”” “No, no,
no: se non capisco, come faccio a chiedere di ripetere, come si chiede
“Cos’hai detto?”” “”Ni ta-auai?”” “Ma e’ uguale a “Cos’e’ questo?”” “E’
un foglio” “…”
Kampot e’ una cittadella divisa dal fiume: su una sponda e’ di nuovo
odore d’Africa per me, con le vie principali asfaltate e quelle interne
ai quartieri in terra rossa, lungo la strada venditrici di frutta o
bibite fresche, autolavaggi e meccanici, nel pomeriggio bambini ovunque
che tornano da scuola in uniforme a piedi o con biciclette da adulto,
prodigandosi in un coro di “Hello!!” sventolando le mani per aria a
salutare la straniera. Sull’altra sponda del fiume i bambini sono
identici, cambiano gli edifici: case coloniali francesi di una bellezza
decadente, con le mura ormai stinte dal tempo e croste di colore cadute a
scoprire il bianco dell’intonaco… nel complesso (ma anche nei dettagli)
la citta’ e’ bellissima, fotograficamente e’ irresistibile con tutti
questi colori, credo che questa apparente trascuratezza ne costituisca
il fascino. E’ in assoluto la mia citta’ preferita tra quelle che ho
visto in questo viaggio. La sera la passeggiata lungo il fiume si
riempie di gente, c’e’ chi suona la chitarra, chi pattina, chi gioca a
calcio, e io corro tra la folla, con Martin e Aritz, nell’aria che
finalmente cede alla freschezza della notte… a guardarlo cosi’, in
maniera un po’ superficiale, sembrerebbe un posto felice. Pulito,
tranquillo e felice. Decisamente la mia citta’ preferita.
Nel frattempo sul mio passaporto si
e’ materializzato il visto per il Vietnam e incrocio le dita perche’
Martin decida di venire con me, anziche’ seguire Aritz in Thailandia.
Tutti vorrebbero continuare con Martin, fingiamo indifferenza ma sotto
sotto ognuno fa il tifo per se stesso. Ad oggi, non ho utilizzato
strategie politicamente scorrette per influenzarlo nella scelta, ma
l’altra sera ho beccato Aritz mentre gli prometteva di andare a vedere
assieme il Ping Pong Show a Bangkok (non approfondiro’)… Dunque e’ cosi’
che stanno le cose? Si gioca sporco?? Maledetto spagnolo…