Sape’ (Indonesia), 11 gennaio 2013
Quando ho accennato al fatto che volevo andare a Flores, Michel mi ha
detto “In questa stagione?? Buona fortuna!” e si e’ lanciato in
racconti di maltempo, di gente che ha aspettato una barca per nove
giorni, di navi che partono comunque ogni due settimane e se va bene
arrivano… ma dato che aveva passato la precedente mezzora a lamentarsi
di ogni cosa al mondo reale o fittizia, non gli ho dato credito e l’ho
liquidato mentalmente con un “Al diavolo! Michel e’ francese, i francesi
si lamentano sempre” Aspettare per nove giorni? Io?? Caro mio, proprio
non mi conosci! Andra’ tutto liscio come l’olio. Ho salvato il suo
numero di telefono fiduciosa del fatto che in tempo record gli avrei
mandato un messaggio di trionfo, qualcosa del tipo “Hey, Mister
Lagnosino… saluti da Flores!”
Flores e’ un’isola ad est di Java; a separare le due, da ovest ad
est: Bali, Lombok e Sumbawa. Il mio piano era attraversare velocemente
Java via terra fermandomi qua e la’ per dare una rapida sbirciata,
arrivare al porto piu’ ad est dell’isola e da li’ saltare sulla prima
barca diretta a Flores. Facile. Chiaro. Non fa una piega.
Arrivo a Surabaya senza difficolta’, entro negli uffici della
compagnia navale che copre il tratto Java-Flores e scopro che la
prossima nave parte tra cinque giorni. Cinque giorni?! Cinque giorni ad
aspettare in questo postaccio? Giammai! Non ce n’e’ una per Sumbawa?
Poi da li’ qualcosa lo trovo… No. Ok, facciamo un passo indietro: una
per Lombok? No. Per Bali? No. Per qualunque insignificante posto a est
dove valga la pena aspettare cinque giorni? No. “Pero’ potresti…” cosa??
potrei cosa?? “…potresti arrivare fino a Lombok con un pullman diretto”
Scusate se non mi era venuto in mente che ci si potesse spostare da
un’isola a un’altra in pullman. In effetti si puo’: si attraversa
l’isola fino al porto piu’ vicino all’isola successiva e li’ il pullman
sale su un traghetto e taglia cosi’ il breve tratto di mare che le
separa. Perfetto allora: andiamo a Lombok!
Il viaggio e’ lungo e non esattamente confortevole, per cui decido di
spezzarlo fermandomi due giorni a Lombok per poi proseguire fino a
Flores, sempre in pullman. Quando vado al terminal degli autobus a
comprare il biglietto, mi accoglie in ufficio stretto stretto un signore
anzianotto magro magro con un inglese sufficientemente buono da poter
scambiare due chiacchiere. “Di dove sei?” mi chiede “Sono italiana” “Oh,
Italy!!” gli si illuminano gli occhi, si alza dalla sedia e inizia a
raccontarmi di due italiani vittime di un naufragio (credo di capire)
ospitati per otto mesi (credo di capire) dalla sua famiglia quando lui
era piccino, in attesa che l’Italia se li recuperasse con un’operazione
di evacuazione; li ricorda con affetto, tanto da decidere in eta’ adulta
di usare il loro cognome come secondo nome per tutti i suoi figli. Mi
fa vedere le foto “Questo e’ mio figlio, fa il militare: Soule Rinaldi;
questa e’ mia figlia: Armie Rinaldi; questa e’ la piu’ giovane: Saline
Rinaldi. Rinaldi, Rinaldi, Rinaldi: tutti Rinaldi. E io, io sono il
Signor Rinaldi!” Quando mi accorgo di non avere sufficienti contanti e
di aver lasciato la carta di credito in stanza, il Signor Rinaldi mi
consegna il biglietto e mi dice “Non importa! Me lo paghi domani prima
di partire” “Vuol tenere lei il biglietto? Me lo da quando vengo a
pagare” “Non ti preoccupare!” “Be’, intanto le lascio i soldi che ho
qui, cosi’ manca solo una parte…” “No! E se devi comprare qualcosa lungo
la strada? Non ti preoccupare: e’ come se fossi mia figlia”. L’indomani
salgo sul pullman. Il Signor Rinaldi si premura ancora di salutarmi con
la mano da oltre il vetro come fossi una bimba sulla giostrina, poi
ferma il pullman sbracciandosi e urlando all’autista, sale, costringe il
ragazzo seduto accanto a me a cedermi il posto vicino al finestrino,
scende soddisfatto e possiamo partire.
Per le prime ore il mio unico problema sembra essere uno Spongebob di
peluche appeso con una ventosa al vetro frontale che mi penzola
ipnoticamente davati agli occhi con un sorriso ebete. Ma quando passa
abbastanza tempo perche’ l’aria condizionata crei condensa sulla
superficie di plastica sopra di me, capisco che il vero problema e’ un
altro: per tutta la notte una goccia di acqua gelida mi cade addosso a
intervalli irregolari e non chiudo occhio; al mattino anche Spongebob ha
un ghigno beffardo. Arrivo dunque gia’ con un importante deficit di
pace interiore a Sumbawa, precisamente al porto di Sape’… solo per
sentirmi dire che non ci sono traghetti per Flores. Trattandosi di
imbarcazioni a fondo piatto, causa maltempo i traghetti non hanno
autorizzazione a salpare. Prossimo bollettino: domani. Trovo una stanza a
pochi metri dal porto. E aspetto.
Aspetto per tre giorni. Tre interminabili giorni bloccata in una
bolla di assurdita’, in un microcosmo formato dal porto con quattro o
cinque barchette mollate li’ a farsi sballottare dalle onde, la strada
che arriva al porto costeggiata sui due lati da una fila di case
sgangherate tra cui la mia guest house e due ristorati, e la gente. La
gente che sebra allucinata e mira chiaramente a farti impazzire. Per
loro le barche ci sono. Decine, forse centinaia di barche, a sentir
loro. Quelli che lavorano per la compagnia dei pullman hanno interesse a
farti spostare avanti e indietro, per cui c’e’ sempre una barca che sta
per partire “ora! Tra pochissimo! Ma non qui: dal porto principale,
devi prendere il pullman fino al porto principale!” gia’, e scommetto
che dal porto principale mi diranno che sta per partire dal porto di
Sape’, quindi dovro’
tornare qui ovviamente in pullman.
Poi ci sono quelli che hanno
imbarcazioni private, sempre pronte a salpare per la modica cifra di “un
milione: solo un milione a testa e in quattro ore sei a Flores!” ma
figurati se ti do un milione! “Ok, ok, facciamo cosi’, ascolta: servono
sei persone per riempire la barca. Se mi trovi sei persone, tu non
paghi” certo. E poi ci sono quelli delle barche di legno, che comunque
non ho intenzione di prendere; per loro “una barca sta partendo ora da
Flores, arriva qui oggi alle quattro, poi dovra’ tornare indietro,
quindi…” si’, anche ieri doveva arrivare alle quattro e anche
l’altroieri, ma non e’ arrivata “Oh… e’ arrivata! Di notte! Ed e’
ripartita, pero’ oggi, oggi arriva di sicuro, alle quattro arriva” Ma
nessuna barca e’ mai arrivata al porto di Sape’. Nessuna e’ mai partita.
Nonostante ognuno abbia una barca in bocca che sta per partire o per arrivare o che e’ al porto adesso, proprio in questo preciso momento, se vai la puoi vedere, e’ li’… e tu le prime volte ci vai anche, ma non e’ vero. Non e’ vero niente. Vai al porto e non-c’e’-nessuna-barca! “No be’, sta arrivando proprio in questo preciso momento, ora non la vedi perche’ sta passando dietro a quell’isoletta li’ davanti…” Follia pura. Ieri mi han bussato alla porta alle 6.30 del mattino per dirmi che c’era una barca al porto. E, strano ma vero, non c’era.
Nonostante ognuno abbia una barca in bocca che sta per partire o per arrivare o che e’ al porto adesso, proprio in questo preciso momento, se vai la puoi vedere, e’ li’… e tu le prime volte ci vai anche, ma non e’ vero. Non e’ vero niente. Vai al porto e non-c’e’-nessuna-barca! “No be’, sta arrivando proprio in questo preciso momento, ora non la vedi perche’ sta passando dietro a quell’isoletta li’ davanti…” Follia pura. Ieri mi han bussato alla porta alle 6.30 del mattino per dirmi che c’era una barca al porto. E, strano ma vero, non c’era.
Ho viaggiato per giorni. Non ore: giorni. Ho passato notti in bianco,
saltato pasti e trattenuto pipi’ all’inverosimile e ora che sono a
poche ore di distanza dal mio obiettivo, ecco che non lo posso
raggiungere. Fino a ieri lo trovavo estremamente frustrante. Mi sono
scervellata per trovare una soluzione, un’alternativa… tornare indietro
fino a Bali e prendere un volo da li’? Aspettare che il tempo migliori e
ripartano i traghetti? Lasciar perdere? Tornare in Italia? Mi sentivo
dentro come nei film, quando sparano sui piedi a uno per divertimento e
quello saltella disperato per evitare i colpi… poi mi sono accorta che
era solo aria compressa e, soprattutto, che la pistola ce l’ho in mano
io. Cosa sto facendo? Non mi riconosco in questo accanirmi su un piano.
Il problema non e’ il tempo, non sono le barche, non e’ quel che dice la
gente, il problema sono io, quindi vediamo di risolverlo.
Oggi. Non ho capito cosa mi fosse preso, ma qualunque cosa fosse oggi
l’ho lasciata andare. Oggi respiro a pieni polmoni e mi godo
l’assurdita’ di questo posto statico in cui nulla cambia; il vento fa
correre nuvoloni pesanti e le onde si stagliano contro il molo del porto
come sfondo animato di un sipario del teatro dell’assurdo, ma nulla si
muove realmente. Il porto brulica di attivita’ legate al transito di
barche che non ci sono e non ci saranno finche’ non cambiera’ il tempo,
ma la gente fa finta che non sia cosi’.
Oggi do al destino il mio ultimatum: secondo i miei calcoli, la nave che avrei dovuto prendere a Surabaya e che ho snobbato per i cinque giorni d’attesa, dovrebbe arrivare questa sera al porto principale. Ammesso che sia mai partita. Saro’ al porto ad aspettare senza aspettative. Se il destino mi ci fara’ salire, bene, altrimenti da domani mi trova a provare il surf su qualche spiaggia qui nei dintorni… il convento ci passa onde grosse, questo non si puo’ cambiare, vediamo almeno di farci qualcosa di buono!
Oggi do al destino il mio ultimatum: secondo i miei calcoli, la nave che avrei dovuto prendere a Surabaya e che ho snobbato per i cinque giorni d’attesa, dovrebbe arrivare questa sera al porto principale. Ammesso che sia mai partita. Saro’ al porto ad aspettare senza aspettative. Se il destino mi ci fara’ salire, bene, altrimenti da domani mi trova a provare il surf su qualche spiaggia qui nei dintorni… il convento ci passa onde grosse, questo non si puo’ cambiare, vediamo almeno di farci qualcosa di buono!