Tuesday, April 24, 2012

Se la strada va

Pai (Thailand), 20 aprile 2012

Oggi, ultimo giorno a Pai, mi sono alzata all’alba e mi sono lanciata da sola in una passeggiata nella foresta per raggiungere una cascata. 7 Km di sentiero lungo il fiume, un percorso non impegnativo. Ho camminato le prime due ore canticchiando felice, che a vedermi da fuori ci si sarebbe chiesti dove fosse il cestino di vimini con la crostata per la nonna. Raggi di luce tra il fogliame, uccellini, lucertoline, anche ragni enormi e zanzare, ma che vuoi farci? E’ la foresta!



Ad un certo punto, sull’altra riva del fiume, vedo un serpente nero, snello, di una cinquantina di centimetri che striscia a nascondersi. E’ sempre poco piacevole vedere un serpente, ma non e’ certo un segreto che ce ne siano. D’altronde, che vuoi farci? E’ la foresta! Continuo la mia passeggiata cercando di non pensarci troppo: non voglio rovinarmi l’umore. Dopo un’altra mezzora, succede il fattaccio: lui e’ sul sentiero. Mi sente e si muove. Allora io lo vedo e urlo. Quindi lui scappa e io posso vederlo per intero: un metro e mezzo di serpente verde-grigiastro del diametro di un mio braccio, che si allontana veloce, ma quasi goffo talmente e’ grosso. E giuro, sono sicura, non era meno di un metro e mezzo. E’ la foresta… e’ la foresta un cavolo! Si parla di reazione di tipo attacco o fuga, ma nella realta’ il cervello opta spesso per una versione piu’ ludica, una sorta di “uno, due, tre, stella”: “uno, due, tre… adrenalina!” e non ci si puo’ piu’ muovere. Rimango bloccata, tutta contratta, chiusa su me stessa. La mente torna lucida per prima e inizio a trattarmi come se il mio corpo non fosse mio: ok, prenditi il tempo necessario, non c’e’ fretta, non c’e’ bisogno di aprire le mani adesso, di rilassare i bicipiti, vuoi stare cosi’? Stai cosi’, aspettiamo che il cuore rallenti, ora passa… e in effetti passa, torno gradualmente in controllo di me stessa. Non senza indugio, provo a proseguire, non vedo motivi razionali per cui non dovrei farlo, ma sono impregnata di terrore. Perche’ non si e’ nascosto prima? Perche’ non mi ha risparmiato di doverlo vedere? Lo odio per la paura che mi ha lasciato addosso: non ho mai avuto la fobia dei serpenti, non voglio cominciare adesso, stavo bene anche senza, davvero, il mondo era un posto tutto sommato vivibile quando i rami erano rami, le radici radici e le lucertole lucertole… ora sono tutti serpenti.
Resisto un’altra mezzora, ma la tensione non accenna a diminuire, ogni passo e’ un’inutile tortura, per cui decido di smettere di violentarmi senza motivo e di tornare indietro. Sto per farlo, quando dal sentiero mi viene incontro a passo deciso un uomo. E’ un russo di 58 anni, ma che ne dimostra 10 in meno, tutto tonico, dai movimenti bruschi e sicuri. Io li adoro questi personaggi! Questi uomini dell’Europa dell’Est che trasudano senso pratico, testosterone concentrato nella versione sovietica di Rambo… li adoro! Gli racconto del serpente, lui mi ascolta e mi chiede solo “Ti ha attaccato?” “Attacc… no! Certo che no!” “Io vado la cascata, vieni?” E me lo chiedi?? Parla inglese come gli indiani dei western (ma con accento russo) e cammina spedito come se dovesse andare a spaccare la faccia a qualcuno, mentre mi racconta di quella volta in Birmania quando, su un ponte, e’ stato attaccato da un cobra che… io gli zompetto dietro corricchiando per tenere il passo, sembro un cucciolo scemo dietro a un dobermann incazzato. Butto il bastone con cui percuotevo ossessivamente il suolo: a cosa mi serve un bastone quando ho un russo da combattimento che mi apre la strada? Intanto il sentiero si fa sempre piu’ incerto, poi sparisce del tutto, risaliamo il fiume saltando sulle pietre. Accenno alla possibilita’ di desistere, ma la risposta e’: “Se la strada va, io va.” Irremovibile. Vorrei dirgli che quella non e’ una strada, bensi’ il letto del fiume. Vorrei chiedergli se ha intenzione di arrivare alla sorgente… invece lo seguo in ammirato silenzio. Lo segurei dovunque uno cosi’! Si ferma solo per fotografare le forme strane create dai rampicanti sugli alberi: tira fuori la macchina fotografica da un borsone da palestra, mi indica il tronco dicendo “Design!”, punta, scatta, mette via e riparte.


Siamo arrivati alla cascata, abbiamo nuotato, diviso il pranzo parlando di fotografia e siamo rientrati perdendoci in una foresta di bamboo. Ha voluto accompagnarmi a casa sulla sua bicicletta, dicendo “Abbiamo avuto buona strada assieme, bisogna finire assieme!” alla faccia della buona strada! Ho le gambe piene di lividi e tagli! Be’, un motivo in piu’ per accettare il passaggio.
In seguito ho cercato di informarmi e mi e’ stato detto che poteva trattarsi si un pitone (Io non ne so niente, ma NON era un biscione d’acqua, ne ho gia’ visti e sono sicura che non lo fosse. Magari!). Il lieto fine e’ che non ho sviluppato nessuna fobia, e’ stato solo un brutto spavento. Sicuramente non l’avrei vissuta cosi’ male se non fossi stata da sola… con quale facilita’ ci facciamo scudo della sicurezza altrui! O anche solo della presenza di un altro essere umano.

Spostamento compulsivo



Pai (Thailand), 19 aprile 2012

Ho passato una notte insonne a Ko Lanta, rimproverandomi di aver dedicato troppo tempo al sud della Thailandia. Avrei dovuto pianificare meglio , avrei dovuto evitare Ko Phi Phi… Presa dall’ansia di non avere abbastanza giorni per visitare il nord, data l’imminente scadenza del visto, l’indomani ho comprato un biglietto, ho salutato Obelix e ho iniziato a risalire il Paese. A meta’ strada, giocherellando con il passaporto tra le mani, mi e’ caduto l’occhio sulla data di scadenza del visto: 20 maggio. Maggio. Maggio?? Non aprile: maggio! Tra un mese! Ho passato una seconda notte insonne in pullman, rimproverandomi di non aver controllato prima il passaporto. Avrei potuto visitare quell’altra isoletta, avrei potuto  salutare Obelix con piu’ calma… il condizionale alle volte e’ piu’ forte di qualunque caffe’ e il debito di sonno pesa addosso piu’ di qualunque zaino. Non so a cosa fosse dovuta questa urgenza di spostarmi, di non sprecare tempo; mi sono data la spiegazione che ogni donna tiene pronta in borsetta (e generalmente e’ quella giusta): sara’ il ciclo. Quale momento del ciclo  non ha importanza, e’ un jolly sempre valido.
Non volendo cadere nella logica dello spostamento compulsivo tipico dei 15 giorni di ferie, ho attuato una terapia d’urto e mi sono obbligata a fermarmi qualche giorno a Pai, una cittadella tranquilla a nord-ovest. Cosi’, eccomi qua. Sono state giornate calme, spese tra le stradine di campagna e le viuzze della citta’ , dove mi sono impegnata a collezionare piccole abitudini che fanno tanto vita di paese. Ho affittato il mio primo motorino da sola e l’ho guidato con l’entusiasmo di una quattordicenne; colonna sonora: The Doors, Riders on the Storm, che non c’entra niente, ma ha il mood giusto per i miei 40 all’ora fissi. Tutto attorno, campi, piccoli villaggi e montagne all’orizzonte. La Valchiusella, isomma.


Rimarro’ qui ancora un giorno, poi mi spostero’ in Laos. Ho deciso di entrarci facendo un viaggio di due giorni in barca sul Mekong. Mi aspetto qualcosa di molto turistico: credo che solo in vacanza si possa decidere di buttare via due giorni per fare lo stesso percorso che via terra si farebbe in una giornata. Spendendo probabilmente la meta’. Ma pazienza: mi piace l’idea di entrare in un nuovo Paese lentamente, seguendo il percorso imposto dal fiume… c’e’ qualcosa di poetico… e allora perche’ no.

Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno- capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola…”

Monday, April 16, 2012

Sung ha ha ha: grasse risate dal futuro

Ko Lanta (Thailand), 13 aprile 2012

…cinque … quattro … tre … due … uno … AUGURI!! Qui e’ Songkran: capodanno! E allora buon anno a tutti!! Auguri di cuore per un 2555  pieno di felicita’! Proprio cosi’: due-cinque-cinque-cinque, che in thai si dice sung-ha-ha-ha… un anno che promette grasse risate!


Songkran non si festeggia solo in una notte, ma consiste in una o piu' giornate di gavettoni. Mi preparo per uscire: reggiseno rigorosamente rosso, che se dev’essere capodanno lo sia fino in fondo; maglietta, quella bianca, cosi’ finisco di sporcarla… ma no, dai, e’ festa! Maglietta grigia, la mia preferita. Zaino imballato in sacchetti di plastica e via, siamo fuori. Cento metri di strada ed ecco il primo appostamento: un gruppetto di persone armate di pistole… ma cosa dico? di bazuka ad acqua si prepara all’assalto. Obelix avvicinandosi rallenta e mi chiede se sono pronta. Ma certo! Cosa vuoi che siano due spruzz… SCIAF! Una secchiata d’acqua in piena faccia. Una secchiata! No, ma dico, cosa li avete comprati a fare i bazuka allora? Obelix mi guarda e ride “Quanto mi dispiace ora che non ti sia messa la maglietta bianca!” Ma guarda la strada, va! Stupido bretone… Ogni centinaio di metri c’e’ un altro gruppo armato. La prima secchiata e’ un taglio netto al respiro e colpi di tosse per le due molecoline d’acqua inalate; la seconda e’ un “Ma porc…” a denti stretti; dalla terza in poi sono tutte uguali, tanto ormai sei fradicio, apri le braccia in segno di sfida: “Butta! Buttaa!!” E giu’ acqua. Entriamo in un negozio e ne usciamo con la faccia impiastricciata di acqua e farina. Spero. Che fosse farina. Intanto sono arrivati due ragazzi su degli elefanti, c’e’ musica, tutti ballano. Un elefante mette la proboscide nel bidone… bravo, approfittane per bere, col caldo che fa… poi la tira fuori, la punta verso di noi e ci sputa addosso! Io non lo so, fisiologicamente parlando, se la proboscide sia proprio come il nostro naso, ma qualunque cosa avesse li’ dentro, ce l’ha sparata addosso. La giornata prosegue con un bagno forzato in mare (“Ti prego, no, mi sono appena asciugata, no, non oserai!!” ha osato, stupido bretone) e con il ritorno a casa sotto un diluvio tropicale. E’ un Paese piuttosto umido, si’, questo va detto, a onor del vero. La sera, ultimi clienti del ristorantino dove ceniamo, ci ritroviamo a ballare con camerieri e cuochi ubriachi (loro, non noi) con la facccia piena di borotalco (loro, e anche noi). Bello questo capodanno, proprio bello! Felice di festeggiarlo su quest’isola che si e’ rivelata effettivamente piu’ autentica e tranquilla delle altre, meno spettacolare forse, ma poco importa.
E chi lo avrebbe mai detto che un giorno avrei avuto l’opportunita’ di scrivere la Lista dei Desideri e Propositi del 2555!

Ognuno al proprio posto

Ko Lanta (Thailand), 11 aprile 2012

Ko Phi Phi richiede uno sforzo di estraneazione estenuante. Spingo per abbandonare l’isola oggi stesso e dopo poche ore siamo in mare. Alle 16.30 sbarchiamo a Ko Lanta, un’isola meno turistica e piu’ economica. Al porto non troviamo ad accoglierci i taxisti dei vari resorts che di solito vengono a caccia di nuovi clienti freschi di sbarco. Buon segno, penso, finalmente un posto un po’ piu’ autentico. Il piano, ormai ben collaudato, e’ sempre lo stesso: affittare un motorino vicino al porto, lasciare li’ gli zaini e cercare una sistemazione valutando con tutta calma. Ci incamminiamo. Il cielo e’ basso, sta preparando un temporale, l’aria e’ pesante, i colori saturi, tutto attorno ha quella tonalita’ grigio-bluastra che precede i diluvi estivi. Imbocchiamo quella che sembra essere la strda principale; ci sono tutti i servizi di cui si possa aver bisogno, ma nessuno a gestirli. Nessuno nei negozi, nessuno nei locali, nessuno per strada. Eppure e’ tutto aperto. Troviamo quel che stavamo cercando: bike for rent. “Salve! Salvee! C’e’ nessuno?” Obelix si addentra nel locale, “Heyla-a!!”, attraversa il bar, passa oltre il bancone,  ”C’e’ nessunoo?!”, sparisce nelle stanze riservate al personale… nessuno. Rimango sola in strada, la situazione e’ irreale, si direbbe una citta’ fantasma, se non fosse per il fatto che ogni cosa e’ in ordine e sa di vita attiva: i portatovaglioli sui tavolini dei bar, i frigo pieni di bibite, i motorini parcheggiati… non e’ una citta’ fantasma: e’ una citta’ abbandonata frettolosamente. Mi domando, senza prendermi troppo sul serio, se non siano scappati sull’allarme di uno tsunami. Obelix riappare sulla strada “Sta per arrivare uno tsunami o cosa?”, mi chiede. Gli dico che stavo facendo lo stesso pensiero. Spunta dal nulla un uomo in moto, ci si avvicina e si ferma, senza spegnere il motore. “Siete appena arrivati con la barca?” “Si!” “Non so se lo sapete, ma molta gente se n’e’ andata di qui perche’ e’ previsto uno tsunami” “Un ts… e cosa dobbiamo… dove dobbiamo andare?” “Dritto di qui. Vedete quel cartello blu? Li’ girate a sinistra. Indica la via di evacuazione, seguite quei cartelli, ok?” e sparisce nello stesso nulla da cui era arrivato. Andando peraltro in direzione contraria al cartello. “…ok…”. Citta’ deserta, noi, cartello. E tra noi e il cartello, 200 metri di rettilineo. Mi immagino un’onda enorme che sfreccia sul mare a chissa’ quale folle velocita’ e il cartello non e’ che un puntino lontano. Non vedo promontori e siamo al porto: una volta girato a sinistra, quanti altri puntini lontani dovremo seguire per allontanarci sufficientemente dalla costa? E quanto tempo abbiamo? “Grandioso, ci mancava solo lo tsunami!” e ridiamo. Cos’altro dovremmo fare? Ridiamo e acceleriamo il passo. Non ci arriveremo mai, Obelix, mai! Almeno saremo abbastanza vicini da fare delle belle foto! Almeno potro’ aggiungerlo alla mia lista delle esperienze! Te l’avevo detto che abbiamo entrambi la linea della vita troppo corta, moriremo assieme, lo so! Solo lo tsunami ci mancava, solo quello… Istintivamente butto un occhio ai motorini, sperando che qualcuno abbia dimenticato la chiave e ogni tanto controllo che il mare sia ancora al suo posto, che non si sia risucchiato in se stesso. All’improvviso arriva un pick up. Ci sbracciamo. Si ferma. “Tsunami!” gli diciamo “Si, tsunami!” “Dove vai?” “Su’” “Possiamo…?” ci fa segno di salire e saliamo, dietro. Sposto con cautela un cesto di uova e mi faccio spazio per sedermi. L’auto e’ carica di cibo e acqua, il che’ significa che si tratta di una cosa seria. Ma ormai siamo salvi, il pick up divora i metri che separano i cartelli blu come se fossero centimetri. Ci fermiamo a una casetta nel bosco dove ci sono gia’ altre persone, delle donne parlano sedute a terra sulla veranda esterna. Ci sono dei bambini, c’e’ una signora anziana su una sedia a rotelle, c’e’ un cane. Aiuto a scaricare il cibo, poi mi siedo e aspetto, come tutti, senza sapere esattamente cosa. Arrivano due ragazze tedesche e una coppia di sessantenni, tedeschi anche loro, lei ansiosa di ritornare al bungalow dove stava preparando la valigia per la partenza del giorno dopo. Nel frattempo ha iniziato a piovere. Aspettiamo tutti assieme in questa sorta di famiglia improvvisata, nessuno ci chiede chi siamo, nessuno ci dice chi e’… e finalmente la notizia arriva: hanno tolto l’allarme, possiamo tornare. Tornare dove? Ormai e’ buio, non abbiamo un mezzo di trasporto, non abbiamo la minima idea di dove siamo! Decidiamo di farci accompagnare assime ai tedeschi al loro resort. Sara’ costosissimo immagino, ma in fondo e’ solo per una notte. Non credo che trovero’ una stanza migliore durante il resto del viaggio: acqua calda, frigorifero, tutto pulito… il primo letto da cui non debba togliere cacche di pipistrello prima di coricarmi, la prima doccia in cui non debba far stragi di formiche aprendo l’acqua. Ma prima di entrare in stanza vado in spiaggia. Il mare e’ rientrato di parecchio, ma e’ solo un’inoffensiva bassa marea. Cammino per qualche metro sulla sabbia bagnata che luccica alla luce della luna  e ho la sensazione di entrare nell’oceano. Lui che poco fa minacciava di voler uscire. Arrivo a bagnarmi i piedi e mi sembra di star facendo qualcosa di pericolosissimo. Va be’, per sta volta ognuno al proprio posto, ok? Mi giro e me ne vado.

Bagni di folla

Ko Phi Phi (Thailnad), 10 aprile 2012

Non ricordo cosa mi abbia spinto a venire a Ko Phi Phi, direi la sua fama di paradiso terrestre, ma, col senno di poi, credo che avrei potuto evitarlo. Ko Phi Phi e’ una sorta di H sbilenca: un’isola formata da due promontori uniti da un lembo di terra su cui si concentra un turismo spietato, logorante e idiota. Sapevo che avrei trovato un sacco di gente, ma questo e’ davvero troppo… viuzze claustrofobiche sovraffollate piene di bancarelle di magliette fluorescenti e di fast food… in spiaggia un gruppo di ragazze ormai sverse si sta costruendo un recinto con i vuoti delle birre bevute, l’obiettivo e’ chiaramente quello di bere fino a riuscire a chiudere il cerchio. A pochi metri da loro c’e’ un pene eretto di un metro e mezzo di cemento, un ragazzone dai muscoli ipertrofici, paonazzo per il sole, si siede alla base a gambe larghe e posa per le fotocamere degli amici indicando il bestione che ha tra le cosce. Ha una birra in mano e un cappello da cowboy, e’ raccapricciante.
Mi chiedo cosa pensino i vecchi di tutto questo. Quelli che hanno visto questo posto cambiare fino a diventare quel che e’ ora, cosa pensano di queste ragazzine che sculettano in bikini con le orecchie da coniglietta distribuendo inviti per il party del sabato sera? Cosa pensano delle  foto di Di Caprio ovunque? Dell’assalto spietato ad una spiaggetta solo perche’ questo tizio ci ha girato un film? Mi viene in mente mia madre, che non torna in Congo da piu’ di dieci anni e si chiede quanto male le farebbe vedere il suo Paese trasformato dalla guerra.
Comunque, sistemandosi in una baia a un’ora di sentiero dalle due spiagge centrali (di cui meta’ in salita tra scimmie  e varani), si riescono ad evitare i bagni di folla e affittando un kayak si puo’ fare il giro dell’isola in solitudine scoprendo spiaggette raggiungibili solo via mare e rese ancor piu’ belle dalla sensazione di aver trovato un piccolo tesoro nascosto. 
Due foto: la prima e’ scattata mentre ci addentriamo in una piccola laguna, la seconda e’ quel che abbiam trovato alla fine.





Thursday, April 12, 2012

L'amore non e' razionalita'

Ko Tao (Thailand), 6 aprile 2012

Ieri sera la luna era piena. Due giorni prima sembrava neanche a meta’ e  ieri era piena, scoppiata in un colpo solo come un pop corn. Navigando in direzione contraria alle orde di pazzi festaioli che vanno a Ko Phangan per il Full Moon Party, sono arrivata a Ko Tao, uno dei sogni proibiti degli immersionisti. A sud dell’isola c’e’ una baietta tranquilla che si chiama Thian Og Bay (in inglese Shark Bay). La si raggiunge seguendo una stradina privata che porta alla spiaggia privata di un privatissimo resort di extralusso. Se lo si attraversa tutto, con passo furtivo, che li’ non si potrebbe passare, si giunge al modesto ingresso di un resort per squattrinati con orribili casette di cemento bianco. Se non ci si ferma neppure li’, si arriva alla sistemazione piu’ economica che possano offrire: un bungalow di legno e vimini, senza bagno, con le finestre che chiudono male perche’ gonfie dall’umidita’. Bungalow A9. E’ dove sto io.



Se sei cresciuto sul Mediterraneo, nel momento in cui leggi Baia degli Squali pensi tuttalpiu’ che sia un nome un po’ eccentrico per la paradisiaca baietta che hai di fronte. Un po’ come se leggessi Baia del Mostro di Lochness: “Ma varda ti!”, ti infili il costume e ti tuffi, perche’ proprio non ce l’hai il campanello d’allarme per quella roba li’. Come i terremoti: le rare volte che mi sono accorata di un terremoto, il mio primo -e a volte unico- pensiero e’ stato “Sara’ caduto qualcosa!”. Ma, diavolo, sta tremando un intero palazzo in cemento armato, cosa potra’ mai essere caduto di cosi’ grande? Il palazzo a fianco? Il governo?? Di nuovo??!
Io non sono cresciuta sul Mediterraneo, ma tra il Lago di Meugliano e le Guie di Garavot, per cui la notizia che gli squali esistono davvero e’ stata un colpo basso. Sapere di averci fatto il bagno assieme con tutta la spensieratezza di questo mondo (“Ma varda ti!”, costume, tuffo) e’ stato un colpo piu’ basso ancora. Pero’ anni fa il mio amico Lamoni mi disse che gli squali non attaccano l’uomo se non scambiandolo per una foca. O nei film. Cosi’, Luca, in onore della fiducia che ho in te, mi sono tuffata altre svariate volte nella speranza di vederne uno. E di non assomigliare troppo a una foca. <((Aggionamento 8 aprile: avvistamento avvenuto stamane! Squaletto grigiolino chiaro di ua cinquantina di centimetri. Ma abbondanti, eh!!))>
Pur essendo piu’ piccina, Ko Tao e’ piu’ difficile da girare rispetto all’isola su cui ero prima. Le spiagge di fatto non sono molte e alcune sono quasi irraggiungibili perche’ protette da un fitto groviglio di stradine e sentieri non contemplati dalla cartina. Tante sono private e anche se in realta’ nessuno viene a chiedere niente, si ha la spiacevole sensazione di essere ospiti inattesi in casa altrui. Per i primi dieci minuti, poi chissenefrega: maschera sul volto come un passamontagna, boccaglio in mano come una molotov, avanzo a passo deciso verso il mare per portare avanti la mia personale battaglia alla privatizzazione.
Non avevo mai visto fondali cosi’; basta avanzare di pochi metri per ritrovarsi in Nemo. Be’… forse proprio Nemo no, per quello bisognerebbe fare immersione… diciamo Nemo provincia. I pesci tropicali sono di una bellezza…! Sara’ il fascino dell’esotico, saro’ io che li guardo con occhi diversi… ma vuoi mettere a confronto una carpa con un pesce pagliaccio? Dai, siamo oggettivi! Qui e’ tutto un fluttuare di colori accesi immersi nell’azzurro. Nubi di pesci ondeggiano a stormi, altri gironzolano solitari, altri spiluccano su pietre foderate di alghe… io mi lascio galleggiare, tesa come un pezzo di legno, cercando il mio equilibrio tra la curiosita’ e la paura. Mi fanno paura le pietre, mi terrorizza l’idea di poter innavertitamente toccare quel viscidume che le riveste. Mi si potra’ obittare: “hai paura delle pietre e vai a caccia di squali?” Si. E allora? In Burkina non ho esitato a mettermi a cavalcioni di un caimano per fare una foto, ma mi sono rifiutata di entrare nell’area delle tartarughe. Se l’amore non e’ razionalita’, la paura lo e’ ancora meno.


Monday, April 2, 2012

E' cosi'

Ko Pha Ngan, 2 aprile 2012 

Il mio coinquilino da viaggio ed io abbiamo affittato uno scooter e stiamo girando l’isola cosi’ . La mattina puntiamo il dito a caso sulla cartina e partiamo; poi, se non al primo, al secondo incrocio ci sbagliamo e ci ritroviamo a seguire una direzione per il semplice fatto che e’ quella in cui va la strada.Le strade sono un sali-scendi continuo, costeggiate da palme e, nei punti piu’ turistici, da cartelli che indicanoi vari bungalows e resorts. La maggior parte sono piste di cemento bianco, altre sono scivoli di terra rossa che tagliano la giungla serpeggiando. 
Dico scivoli perche’ e’ quel che effettivamente diventano con la pioggia: oggi, dopo il diluvio della notte, la ruota posteriore slittava a destra e sinistra tanto da dare l’impressione che lo scooter scondinzolasse; con il sedere sballottato di qua e di la’, non mi sono mai sentita cosi’ simile a Shakira. Nei punti piu’ ripidi, scendere e spingere a mano, con l’acceleratore a manetta, foglie di palma sotto le gomme per uscire dal pantano. Ma vuoi mica che basti come livello di disagio? Vuoi mica che non ti finisca la benzina quando sei a nonsoquantimacomunquetroppi chilometri dalla civilta’? Ce la siamo cavata con una mezzora di marcia e una lauta ricompensa a un signore motomunito che ci ha procurato 2litri di carburante. Dopo poco eravamo gia’ sulla via del ritorno, a spingere e cercare foglie di palma esattamente come all’andata. Una fatica porca, ma ad ogni cima raggiunta si vedeva il mare e ad ogni cima successiva il sole si faceva piu’ basso e il mare piu’ rosso e ogni volta ho pensato che ne valesse la pena.


 Essendo su un’isola il mare e’ una presenza costante, te lo ritrovi di fianco dopo una curva, ti accompagna un pezzetto e poi sparisce, fino a sbucare all’orizzonte quando raggiungi la sommita’ di una salita. Il primo bagno e’ stato decisamente traumatico: e’ stato sulla striscia di sabbia che unisce Ko Phangan e Koh Ma (lascio i riferimenti GPS per gli appassionati di Google Earth). Bello il posto, bella la spiaggia, bella l’acqua, “Bello quel pesce!” “Dove?” “Li’ che si nasconde nella sabbia!” “Ah, si’! Ma… ce n’e’ un altro fermo vicino… e un altro… ma… non e’ un altro: e’ lo stesso che continua! E qui c’e’ la testa!!”. Obelix dice che doveva essere un tipo di pesce che non conosciamo. Io so solo che quel che ho visto era un fottutissimo serpente gigante e col cavolo che torno li’ a fare il bagno, ci vada lui a giocare al biologo marino con le anaconda!
Di animali se ne vedono parecchi: cani, rospi, camaleonti, bufali, elefanti, scimmie, lucertoloni giganti che ti attraversano la strada (“L’hai visto?? Un coccodrillo!!” “Ma no, si chiama Dragon de Komodo!” sara’, ma per quel che mi riguarda e’ uguale a un fottutissimo coccodrillo). La notte un Piccolo Coro dell’Antoniano di insetti ripopone i successi degli ultimi anni fischiando, ronzando, naccherando (ok, non esiste e non hanno delle nacchere, pero’ sembra!).
Nonostante il caldo umido ti tolga il fiato e ti sciolga in sudore, facciamo un sacco di camminate. Abbiamo fatto il trekking per (…GPS alla mano? Pronti? Via!) per Khao Ra. E’ un sentiero di due orette che si inerpica nella giungla. Ma giungla vera, come quella di Tarzan o di Mowgli, con le liane, i versi delle scimmie in lontananza e tutto il resto. Una natura cosi’ prepotente che divora se stessa: rampicanti come betulle, piante che affondano le radici su altre piante. Per non farci mancare nulla, l’ultimo chilometro del ritorno l’abbiamo fatto nel buio piu’ totale perche’ non ci siamo accorti di esser partiti troppo tardi e la notte ci e’ piombata addosso prima del previsto. Se fossi stata sola sarei morta; piu’ probabilmente per la paura che per altro. Invece Obelix aveva una torcia e, un passo alla volta, siamo riusciti a uscirne anche ridendo per l’assurdita’ della situazione e per la nostra stupidita’.
E’ cosi’. Arrivo a fine giornata esausta, ma rilassata e felice. C’e’ un ristorantino un po’ squallido in cui mi piace cenare. I tavoli sono sulla spiaggia. Finita la cena basta alzarsi, togliere maglietta e pantaloncini, percorrere i quattro metri di sabbia bianca che separano il tavolo dal mare… e si entra in un’acqua calda cosi’ trasparente che basta la luce della luna per vedere il fondo. Se si nuota un pochino si arriva davanti ai ristoranti, quelli belli, quelli con le terrazze tirate a lucido e le lanterne colorate… e il gioco di luci sull’acqua toglie il fiato. Dall’altra parte, le navi da pesca notturna accedono punti verdi all’orizzonte. E tu sei li’, nel mezzo.

Everyday is a Buddha Day!

Ko Pha Ngan, 31 marzo 2012

Devo essere onesta e smentirmi: mi han detto che la storia del BuddaDay e’ una truffa per convincere i turisti a fare il giro con il Tuk Tuk e spendere e spandere in lungo e in largo, ma non avendo comprato nulla la reputo piu’ un’offerta che una truffa! L’ingresso ai templi e’ gratuito tutti i giorni, quindi se non ci si lascia fregare, everyday is a BuddhaDay!
Sono arrivata a Ko Pha Ngan, dove ho trovato un’ampia offerta di bungalows e ora, pur concendendomi una sistemazione lussuosa per i miei canoni, sto spendendo circa un sesto di quanto mi avevano proposto a Bangkok. Questo anche perche’ mi sono procurata un pratico coinquilino da viaggio! Compatto ed elegante, il coinquilino da viaggio e’ la soluzione ideale per chi vuole spostarsi in tutta tranquillita’ dividendo le spese. I rivenditori autorizzati sono ben distribuiti sul territorio mondiale; io il mio l’ho conosciuto in pullman. E’ un ragazzo francese, anzi, bretone (non sia mai che mi sbagli, che i bretoni sono i sardi di Francia!!) che ho ribattezzato Obelix per togliermi dall’imbarazzo di non ricordare il suo nome. Avendo grossomodo in comune il modo di viaggiare e la stessa vaghissima meta, abbiamo deciso di passare qualche giorno assieme per dividere le spese, appunto.

Sono strane le relazioni che si instaurano in viaggio: cosi’ fintamente solide, una fiducia e una confidenza immediate. Diciamo che sulla confidenza influisce molto la situazione, ad esempio, per dirne una, a dividere un bungalow in cui non c’e’ la porta del bagno, ci si sente subito in intimita’!
Ora faccio un doppio carpiato nella banalita’, lo so, ma e’ dannatamente vero che ogni cosa ha un gusto diverso se condivisa. Non per forza migliore. Non che si debba condividere sempre  e comunque tutto. Pero’ ogni tanto fa piacere e credo di aver capito questo (parlo per me, eh!): e’ nei momenti di gioia che si sente maggiormente l’urgenza di avere qualcuno a fianco, non in quelli di tristezza. E’ di fronte allo spettacolo di questi tramonti sul mare, non nella rigidita’ dei gate di Malpensa. E’ anche per questo che si fanno foto, no? Per condividere nonostante l’assenza. E sono le foto dei momenti e dei paesaggi piu’ belli che si corre a mostrare.
Il bello dell’esser partiti da soli e’ che si puo’ tornare ad esserlo quando si vuole, senza per forza dover scendere a compromessi con altre persone. Ma, per quanto stia sinceramente bene con me stessa, saro’ contenta di non dover usare sempre l’autoscatto durante questo viaggio.